«Ci teniamo il Sommeil. So che il dottor Maxie gli ha prescritto l'equivalente. E ora, dottore, vorrei fare quattro chiacchiere con la vostra governante, prima d'andarmene.»
Ci volle un minuto buono, prima che il dottore capisse. Poi si districò dalla sedia, borbottando delle scuse, e fece strada dal suo studio alla casa. Lì Dalgleish riuscì con abile tatto ad ottenere la conferma che il dottore era rincasato alle dieci e quarantacinque, la sera prima, ed era dovuto riuscire alle undici e dieci per assistere un parto. Né si aspettava di udire altro. Avrebbe dovuto controllare con la famiglia del paziente, ma senza dubbio avrebbero fornito un alibi al dottore fino alle tre e mezza del mattino, quando aveva finalmente lasciato la signora Baines di Nessingford, fieramente in possesso del suo primo figlio. Il dottor Epps era stato impegnato ad aiutare la vita a manifestarsi nel mondo quasi tutta sabato notte, e non a stroncarla in Sally Jupp.
Il dottore borbottò qualcosa a proposito di una visita in ritardo, e accompagnò Dalgleish al cancello, proteggendosi prima dall'aria serotina con un grosso e voluminoso cappotto, di almeno una misura troppo grande per lui. Quando furono al cancello il dottore, che aveva le mani ficcate in tasca, ebbe un piccolo sobbalzo di sorpresa, e aperse la mano per mostrare una boccetta. Era quasi piena di piccole compresse marroni. I due uomini la guardarono in silenzio per un attimo. Poi il dottor Epps disse: «Sommeil».
Dalgleish prese un fazzoletto, avvolse la boccetta, e se la infilò in tasca. Notò con interesse un primo gesto istintivo di resistenza del dottore.
«Quella dev'essere la roba di Reynold, ispettore. Niente a che fare con la famiglia. Questo era il cappotto di Price.» Il tono era difensivo.
«Quando è venuto in vostro possesso, dottore?» chiese Dalglesh. Ci fu ancora una lunga pausa. Poi il dottore sembrò ricordarsi che c'erano fatti che era inutile tentare di nascondere.
«L'ho comprato sabato. Alla festa parrocchiale. L'ho comprato come per scherzo, per uno scherzo tra me e... e la persona che stava al banco.»
«E chi era?» chiese inesorabile Dalgleish. Il dottor Epps non lo guardò, mentre rispondeva debolmente: «La signora Riscoe».
20
La domenica, trascorsa come un qualsiasi giorno feriale, era parsa interminabile, degno coronamento di una settimana a dir poco sconclusionata, tanto che il lunedì successivo fece l'effetto di una giornata scialba, priva di qualsiasi carattere distintivo, quasi fasulla. Il volume della posta fu assai più consistente del solito, in ossequio all'efficienza capillare delle comunicazioni telefoniche da un lato e, dall'altro, di quelle meno scientifiche, ma non meno puntuali e smaliziate, che caratterizzano le piccole comunità di provincia. Probabilmente l'indomani, quando la notizia dell'omicidio di Martingale avesse raggiunto anche coloro che limitavano le proprie fonti di informazione alla stampa quotidiana, la posta sarebbe aumentata ancora. Deborah aveva ordinato una mezza dozzina di giornali. Sua madre si chiese se questa stravaganza fosse da interpretare come un gesto di sfida o come cedimento a uno stimolo di genuina curiosità.
I poliziotti occupavano ancora lo studio, ma avevano manifestato l'intenzione di trasferirsi al Moonraker's Arms nel pomeriggio. Segretamente, la signora Maxie si augurò che la cucina di quella locanda fosse di loro gradimento. La camera di Sally era sempre chiusa. Solo Dalgleish ne teneva la chiave e non forniva alcuna spiegazione circa le frequenti perlustrazioni che vi compiva, né su quello che aveva scoperto o sperava di scoprire in quel luogo.
Quella stessa mattina, di buon'ora, arrivò anche Lionel Jephson, che con la sua aria di riprovazione e la sua inettitudine contribuì solo a creare maggior scompiglio. I componenti della famiglia espressero, in cuor loro, la speranza di non essere i soli a subire il fastidio della sua presenza, ma che questo fosse condiviso in ugual misura anche dalla polizia. Come Deborah aveva previsto, l'avvocato si trovò completamente spaesato di fronte ad una situazione che esulava enormemente dalle sue consuete incombenze e dalla sua esperienza. La palese apprensione di cui dava segno e gli ammonimenti che sfornava a getto continuo facevano pensare che nutrisse seri dubbi sull'innocenza dei suoi clienti o, quanto meno, scarsa fiducia nell'efficienza della polizia. Fu un sollievo per tutti, quando, poco prima di colazione, se ne tornò di gran furia a Londra, per consultarsi con un collega.
A mezzogiorno il telefono squillò per la ventesima volta.
La signora Maxie udì la voce di Sir Reynold Price tuonare all'altro capo del filo.
«Ma è scandaloso, mia cara signora. Che cosa sta facendo la polizia?»
«Credo che al momento stia cercando di rintracciare il padre del bambino.»
«Buon Dio! Ma a che scopo? Mi sembra che farebbero meglio a cercare di trovare chi ha ucciso la ragazza.»
«Forse pensano che le due cose siano in qualche modo connesse.»
«Si mettono in testa delle strane idee. Sono stati qui, sapete? Volevano sapere qualcosa di certe pillole che Epps mi aveva prescritto. Credo che fosse qualche mese fa. È strano che se ne sia ricordato, dopo tutto questo tempo. E perché mai pensate che interessi loro una cosa del genere? È straordinario. Non ne avete ancora abbastanza per arrestarmi, ispettore, gli ho detto. Era divertito, si vedeva.» La calorosa risata di Sir Reynold risuonò spiacevolmente nell'orecchio della signora Maxie.
«Che seccatura deve essere stata» deplorò la signora Maxie. «Temo che questa spiacevole faccenda stia causando a tutti un sacco di fastidi. Li avete mandati via contenti?»
«La polizia? Mia cara signora, la polizia non è mai contenta. Ho detto loro chiaramente che era assurdo pensare di trovar qualcosa in casa mia. Le donne di servizio fanno piazza pulita di tutto ciò che non è sotto chiave. Figuriamoci poi una bottiglietta di pillole comprata qualche mese fa. Che razza di idea! Secondo l'ispettore, avrei dovuto ricordare quante ne avevo prese e che cosa ne era stato delle altre. E chi lo sa? Gli ho detto che ho ben altre cose da fare per impiegare il mio tempo. Volevano sapere anche di quello screzio che avemmo al St. Mary circa due anni fa. L'ispettore sembrava molto interessato alla faccenda. Voleva sapere perché avevate rassegnato le dimissioni dal comitato e tutto il resto.»
«Come avranno fatto a saperlo?»
«Qualche cretino avrà parlato troppo, suppongo. È buffo come certa gente non sappia tenere la bocca chiusa, soprattutto con la polizia. Quel Dalgleish mi ha detto che era strano che voi non faceste parte del comitato del St. Mary, visto che un po' tutto quel che succede in paese passa per le vostre mani. Gli ho detto che vi eravate dimessa due anni fa, quando c'era stato quel piccolo screzio, e naturalmente ha voluto sapere di che cosa si era trattato. Mi ha chiesto, perché non ci eravamo liberati della Liddell, in quella occasione. Gli ho detto: "Mio caro signore, non si può sbattere fuori, da un giorno all'altro, una donna con venticinque anni di servizio, a meno che non abbia dato prova di grave disonestà". Sapete come la penso, a questo proposito. Non ho mai cambiato parere, né mai lo cambierò. D'accordo per la trascuratezza e per la confusione nella contabilità, ma di qui a parlare di deliberata disonestà, ce ne corre. Ho detto all'ispettore che il comitato aveva convocato la Liddell - senza far scandali e con molta discrezione, naturalmente - e le aveva fatto pervenire una lettera nella quale erano fissati nuovi criteri per la gestione economica dell'istituto, in modo che non vi potessero essere più equivoci. E, tutto considerato, non fu certo una lettera pacata e cortese. So bene che, ai tempi, avete pensato che il Ricovero sarebbe passato in gestione alla diocesi o ad una delle associazioni nazionali per l'assistenza alle ragazze madri, invece che alla vostra organizzazione privata di beneficenza, e così ho detto anche all'ispettore.»
«Avevo pensato che fosse ormai ora di affidare quel compito gravoso a persone più abili ed esperte, Sir Reynold.» Nel pronunziare queste parole, la signora Maxie maledì tra sé l'imprudenza che l'aveva costretta a riepilogare quella vecchia storia.
«È proprio questo che intendevo. Ho detto all'ispettore: "Forse la signora Maxie aveva ragione, non dico di no. Ma Lady Price teneva molto al Ricovero - di fatto, l'aveva praticamente fondato lei - e naturalmente io non ci tenevo affatto a darlo via. Ormai, gli istituti privati di questo genere sono ben pochi e in queste faccende l'interessamento personale, il contatto umano hanno una funzione insostituibile. D'altra parte, è vero che la signorina Liddell era un vero disastro per quanto riguarda la contabilità. Era un compito troppo gravoso per lei. I conti, in realtà, non son cose da donne". Naturalmente, l'ispettore è stato d'accordo con me. Si è molto divertito.»
La signora Maxie non ebbe il minimo dubbio al proposito.
Il quadro non era certo piacevole e sicuramente la propensione a considerare qualsiasi incombenza come appannaggio prevalentemente maschile costituiva un requisito fondamentale alla buona riuscita della carriera di un poliziotto. Tuttavia, la signora Maxie era altrettanto certa che, esaurito lo spunto per questo virile scambio di idee tra uomini, la mente dell'ispettore Dalgleish si fosse applicata ad una nuova teoria. Però, com'era possibile? Alle dieci, la sera precedente, le chicchere e le tazze con le bevande calde erano pronte e dopo quell'ora la signorina Liddell non aveva abbandonato la sua ospite neppure per un minuto. Si erano soffermate tutt'e due in anticamera e tutt'e due avevano visto la ragazza, che, raggiante e trionfante, si portava in camera la tazza di Deborah. Alla signorina Liddell si sarebbe potuto imputare un movente, se l'accusa di Sally avesse avuto qualche rilievo, ma, quanto al fatto che fosse in grado di compiere il delitto, questo era da provare e sicuramente le era mancata la possibilità materiale per farlo. La signora Maxie, che non nutriva alcuna simpatia per la signorina Liddell, poteva ancora sperare che le umiliazioni di due anni prima, ormai quasi dimenticate, non venissero più rivangate e che Alice Liddell, non molto efficiente, non molto intelligente, ma tutto sommato persona sensibile e di buon animo, fosse lasciata in pace.
Sir Reynold, però, aveva ancora qualcosa da dire.
«A proposito, non mi preoccuperei troppo delle chiacchiere che cominciano a circolare in paese. La gente non può fare a meno di spettegolare, sapete, ma la smetteranno non appena la polizia acciufferà il suo uomo. Speriamo solo che si sbrighino. Fatemi sapere se c'è qualcosa che posso fare. E non dimenticate di chiudere le porte a doppia mandata durante la notte. La prossima vittima potreste essere voi, o Deborah. E c'è ancora una cosa, per finire.» La voce di Sir Reynold assunse un tono cospiratorio e si ridusse a un roco bisbiglio, tanto che la signora Maxie dovette fare uno sforzo per distinguere le parole. «Si tratta del bambino. È un grazioso pargoletto, per quel che ho potuto vedere. Lo guardavo nella sua carrozzina l'altro giorno, alla festa. Stamattina ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare qualcosa per aiutarlo. Non è certo bello perdere la madre in quel modo. Non ha neppure una vera casa. Qualcuno dovrebbe prendersi cura di lui. Dov'è ora? Lì da voi?»
«Jimmy è tornato al St. Mary. Mi è sembrata la soluzione migliore. Non so ancora bene come provvederemo a lui. È ancora presto per dirlo e non so neppure se qualcuno ci abbia veramente pensato, per il momento.»
«Sarebbe ora che qualcuno lo facesse, mia cara signora. Sarebbe veramente ora. Forse lo metteranno in lista per l'adozione. Bisognerà prenotarsi, vero? Suppongo che la signorina Liddell sia la persona più adatta a dare questo genere di informazioni.»
La signora Maxie non sapeva che cosa rispondere. Conosceva meglio di Sir Reynold le leggi che regolavano l'adozione e dubitava che il suo interlocutore potesse essere considerato la persona più adatta a prendersi cura del bambino. Se Jimmy fosse stato destinato all'adozione, la sua condizione l'avrebbe fatto oggetto di numerose richieste. Lei stessa aveva già preso in considerazione l'idea di garantire un futuro al bambino. Naturalmente, non ne fece parola e si limitò ad osservare che forse gli stessi parenti di Sally avrebbero potuto prendersene cura e che nulla doveva essere fatto prima di aver sentito la loro opinione. Inoltre, c'era sempre la possibilità di rintracciare il padre. Sir Reynold scartò questa eventualità con una risata di scherno, ma promise di non far nulla prima del tempo. Dopo aver nuovamente messo in guardia la signora Maxie contro eventuali maniaci omicidi, riattaccò. La signora Maxie, dal canto suo, si chiese se fosse possibile mostrarsi più stupidi di Sir Reynold e che cosa avesse suscitato il suo improvviso interessamento per la sorte di Jimmy.
Riagganciò il ricevitore con un sospiro e si decise ad esaminare la corrispondenza. Una dozzina delle lettere pervenute la mattina erano di amici, che, evidentemente posti in grave imbarazzo dalle conseguenze che la vicenda poteva avere sul piano dei rapporti sociali, manifestavano la propria solidarietà con la famiglia e la propria fiducia nell'innocenza della signora Maxie con una serie di inviti a cena. Solidarietà che la signora Maxie trovò più divertente che rassicurante. Le tre buste che seguivano recavano una calligrafia sconosciuta e le aprì con riluttanza. Forse sarebbe stato meglio distruggerle senza leggerle, ma chi poteva mai dire? C'era sempre il rischio che qualche informazione importante andasse irrimediabilmente perduta. D'altronde, affrontare anche le situazioni spiacevoli era un segno di coraggio, qualità che alla signora Maxie non era mai mancata. Le prime due missive si rivelarono meno sgradevoli del previsto. Una voleva persino essere commovente. Conteneva tre brevi testi a stampa, nei quali le rose e i pettirossi convivevano, ad onta della rispettiva stagionalità, in un impossibile connubio e nei quali, infine, si assicurava che la salvezza avrebbe premiato tutti coloro che avessero opposto incrollabile resistenza alle avversità. Si chiedeva anche un contributo per rendere possibile la più vasta diffusione di questa lieta novella e si suggeriva di riprodurre i testi in più copie e di distribuirli agli amici colpiti dalla sventura. Per la maggior parte, gli amici della signora Maxie non amavano rendere di pubblico dominio i guai che li affliggevano, ma ciò nonostante ella non riuscì a soffocare un lieve senso di colpa mentre lasciava cadere il foglio nel cestino della carta straccia. La seconda lettera, racchiusa in una busta che emanava un forte profumo di malva, proveniva da una signora che dichiarava di possedere poteri parapsicologici e si offriva di organizzare, a pagamento, una seduta durante la quale Sally Jupp avrebbe potuto comparire e fare il nome dell'assassino. Perlomeno, l'autrice della lettera mostrava di voler concedere alla famiglia Maxie il beneficio del dubbio e dava per scontato che le rivelazioni di Sally riguardo all'omicidio sarebbero state comunque bene accolte. L'ultima missiva recava il timbro postale della zona. Il contenuto, laconico, si limitava a una domanda: «Non vi bastava farla ammazzare di lavoro, sporca assassina?». La signora Maxie esaminò attentamente la grafia, ma non ricordò di averla mai vista prima. Il timbro postale, tuttavia, non lasciava spazio a dubbi e le fu subito chiaro che si trattava di una sfida. Decise, perciò, di recarsi in paese a fare un po' di spesa.
Il negozietto del paese era più affollato del solito e il brusìo di voci, che si acquietò come d'incanto al suo apparire, risparmiò alla signora Maxie la pena di chiedersi quale fosse il soggetto della conversazione. C'erano la signora Nelson, la signorina Pollack, il vecchio Simon della villa dei Weir, che si vantava di essere il più anziano abitante del paese e credeva, per questo, di essere esentato dal dovere di curare la propria igiene personale, e due o tre donne che abitavano nelle nuove fattorie e che la signora Maxie non aveva ancora modo di conoscere. Qualche "buon giorno" a mezze labbra fece eco al suo saluto e la signorina Pollack si azzardò persino a dire: «Ha visto che bella giornata, anche oggi?», per poi immergersi in una frenetica consultazione della lista della spesa, cercando riparo dietro una pila di scatole di cereali per la prima colazione. Il signor Wilson in persona abbandonò le sue fatture ed emerse dal retrobottega, deferente e silenzioso come sempre, per servire la signora Maxie. Il signor Wilson era un uomo alto, scarno, d'aspetto quasi cadaverico, con il viso perennemente segnato dall'espressione della più cupa infelicità, tanto che riusciva difficile crederlo gestore di un florido commercio, e non, piuttosto, sull'orlo della bancarotta. Era forse la persona che, in paese, udiva più pettegolezzi di qualsiasi altro, ma esprimeva così raramente un parere personale che le sue parole erano ascoltate con profondo rispetto e restavano per lungo tempo impresse nella memoria dei compaesani. Aveva mantenuto, finora, un rigoroso silenzio sulla vicenda di Sally Jupp, ma nessuno si sognò mai di pensare, per questo, che giudicasse l'argomento non degno di commento, né che la morte violenta gli incutesse soggezione o lo inducesse a reticenza. Prima o poi, la gente ne era certa, il signor Wilson avrebbe espresso il suo giudizio e grande sarebbe stata la sorpresa di tutti gli abitanti del paese, se il parere della Legge, che si sarebbe manifestato in seguito con tutti i crismi dell'ufficialità, non si fosse rivelato del tutto simile a quello del negoziante. Il signor Wilson ascoltò senza proferir verbo le ordinazioni della signora Maxie e si dedicò senz'altro a servire la sua più preziosa cliente, mentre il gruppetto di donne abbandonava alla spicciolata il negozio, borbottando un sommesso "arrivederci" e guadagnando l'uscita con passo furtivo o affrettato.
Quando se ne furono andate, il signor Wilson gettò tutt'intorno uno sguardo da cospiratore, alzò gli occhi al cielo, come per chiedere consiglio, e si sporse sopra la cassa, verso la signora Maxie.
«Derek Pullen» disse. «Ecco chi è stato.»
«Temo di non capire che cosa volete dire, signor Wilson.» La signora Maxie diceva il vero. Avrebbe anche potuto aggiungere che non le importava granché di saperlo.
«Non che io voglia dir nulla di particolare, badate. Che se la sbrighi pure la polizia, dico io. Ma se vengono a scocciarvi a Martingale, chiedetegli dove stava andando Derek Pullen, sabato sera. Chiedeteglielo. È passato di qui a mezzanotte o giù di lì. L'ho visto dalla finestra della stanza da letto.»
Il signor Wilson si raddrizzò con l'aria soddisfatta di chi ha proferito una inconfutabile verità e, con atteggiamento completamente mutato, riprese a far le somme per il conto della sua cliente. La signora Maxie si sarebbe sentita in dovere di replicare che qualsiasi informazione o congettura attinente al caso doveva essere comunicata alla polizia, ma non riuscì a pronunciar parola. Rammentava Derek Pullen come l'aveva visto l'ultima volta, un ragazzetto foruncoloso che portava abiti troppo grandi per la sua misura, da città, e scarpe da poco prezzo. La madre era membro dell'Istituto Femminile e il padre lavorava nella più grande delle due fattorie di Sir Reynold. Era troppo assurdo e ingiusto. Se il signor Wilson non avesse tenuto la bocca chiusa, la polizia sarebbe piombata in casa Pullen prima di sera e chi sa mai che cosa ci avrebbe trovato. Il ragazzo aveva un'aria fragile e la paura gli avrebbe sicuramente fatto perdere anche quel po' di buon senso del quale sembrava provvisto. Poi la signora Maxie si ricordò che qualcuno, quella notte, si era introdotto in camera di Sally. Poteva anche essere stato Derek Pullen. Se voleva evitare altri guai a Martingale, doveva fare in modo che la sua posizione fosse la più chiara possibile. «Se avete qualche informazione da dare, signor Wilson,» disse «credo sia meglio vi rivolgiate all'ispettore Dalgleish. Con accuse del genere potreste danneggiare tante persone innocenti.»
Il signor Wilson accolse questo lieve rimprovero con la più grande soddisfazione, come se esso costituisse l'unica auspicabile conferma alle proprie teorie. Evidentemente, non aveva altro da dire sull'argomento e, per quanto lo riguardava, considerava ormai chiusa la faccenda. «Quattro e cinque, dieci e nove, una sterlina e uno scellino, fanno una sterlina, sedici scellini e due pence, signora» concluse con voce cantilenante. La signora Maxie pagò.
21
Intanto, nello studio, Dalgleish stava interrogando Johnnie Wilcox, un ragazzino di dodici anni sporco e poco cresciuto.
Si era presentato a Martingale annunciando che il vicario l'aveva mandato a parlare con l'ispettore e che, per favore, era una cosa importante. Dalgleish lo ricevette con cortesia e, serissimo, lo invitò a sedersi e a raccontare con calma la sua storia. Il ragazzo espose i fatti con chiarezza e precisione e la sua fu una delle testimonianze più interessanti che Dalgleish aveva avuto modo di sentire negli ultimi tempi.
Johnnie era stato assoldato, assieme ad altri suoi compagni della scuola di catechismo, per dare una mano a servire il tè e a far pulizie dopo la festa. I ragazzi non avevano raccolto con entusiasmo questa proposta, poiché l'incombenza era sembrata loro servile, degradante e, francamente, assai poco divertente. C'era stata, è vero, la promessa di banchettare, più tardi, con i rimasugli della festa, ma la ricorrenza godeva di una vasta popolarità e l'anno precedente erano stati molti quelli che, dopo essersi presentati all'ultimo momento per dare una mano, avevano preso parte alla spartizione delle magre spoglie assieme a quelli che per tutto il giorno avevano sudato sotto il sole. A Johnnie Wilcox non era parso conveniente trattenersi più del necessario e, non appena il numero dei ragazzi presenti era stato tale da rendere meno notabile la sua scomparsa, si era impossessato di due sandwich di pesce, di tre ciambelle al cioccolato e di un paio di tortini con la marmellata e aveva portato il tutto nel fienile della stalla di Bocock, confidando nel fatto che Bocock sarebbe stato troppo occupato alla festa con i suoi ponies.
Se n'era stato in pace per un po' nel fienile a sbocconcellare il suo bottino e a leggere un giornalino - inutile cercare di scoprire esattamente per quanto tempo, basti sapere che era rimasta una sola ciambella - quando aveva udito dei passi e delle voci. Evidentemente, non era stato il solo a cercare di appartarsi, poiché due altre persone stavano entrando nella stalla. Non aspettò di vedere se anche quei due avevano intenzione di salire nel fienile, ma prese la saggia precauzione di spostarsi con la sua ciambella in un angolo riparato, dove poté nascondersi dietro a una balla di paglia. Quest'ultima azione non deve essere imputata ad eccessiva timidezza. Grazie al semplice espediente di non farsi vedere quando non era il caso, Johnnie aveva già evitato in passato conseguenze spiacevoli, come scapaccioni o l'essere messo a letto prima del tempo. Anche questa volta la precauzione era giustificata. I passi salirono fino al fienile e Johnnie sentì il tonfo sordo della botola di legno che si richiudeva. Fu perciò costretto a starsene buono e zitto e rimediò alla noia forzata di quella situazione, sbocconcellando in silenzio la ciambella, cercando di farla durare fino a quando i due intrusi non se ne fossero andati. Non erano più di due, ne era sicuro - e uno di loro era Sally Jupp. Aveva intravisto per un attimo i capelli della ragazza, mentre saliva attraverso la botola, ma poi aveva dovuto tirarsi indietro per non farsi scorgere. Tuttavia, non aveva dubbi. Johnnie conosceva Sally abbastanza bene da essere certo di averla vista e sentita nel fienile, quella domenica pomeriggio. Non aveva visto, invece, né aveva potuto riconoscere l'uomo che era con lei. Dopo che Sally era entrata nel fienile, sarebbe stato troppo pericoloso sporgersi oltre la balla di paglia, perché ogni minimo movimento provocava notevole rumore e Johnnie aveva dovuto impiegare tutte le proprie energie per mantenersi assolutamente e, per lui innaturalmente, immobile. In parte a causa del mucchio di fieno, che smorzava le voci, e in parte perché era solito considerare i discorsi degli adulti noiosi e incomprensibili, non si era minimamente sforzato di decifrare quello che i due si dicevano. Di certo, Dalgleish poté solo desumere che avevano litigato, ma a bassa voce, che avevano parlato di quaranta sterline e che Sally Jupp aveva posto fine al battibecco, asserendo che non vi sarebbe stato alcun pericolo se lui avesse mantenuto i nervi saldi e avesse "fatto attenzione alla luce". A sentir Johnnie, avevano discusso per un bel po', ma per lo più in fretta e senza alzare la voce. Non ricordava altro che quelle poche frasi. Non avrebbe neppure saputo dire con esattezza per quanto tempo i due si erano trattenuti nel fienile. A lui era parso moltissimo e quando aveva sentito aprirsi e chiudersi di nuovo la botola, segno che la ragazza e il suo compare se n'erano andati, si sentiva tutto anchilosato e cominciava a non poterne più dalla noia. Aveva fatto in tempo a vedere una mano coperta da un guanto di pelle marrone nell'atto di richiudere la botola, poi aveva atteso ancora qualche minuto e aveva fatto ritorno alla festa, dove la sua assenza aveva suscitato scarsissimo interesse. A questo ammontava, in sostanza, l'avventura della quale Johnnie Wilcox era stato protagonista quella domenica pomeriggio, e non si poteva fare a meno di provare un moto di stizza al pensiero di quale avrebbe potuto essere il valore della sua testimonianza se le circostanze fossero state più favorevoli. Se, ad esempio, Johnnie fosse stato un po' più audace, avrebbe potuto vedere l'uomo in viso. Se avesse avuto qualche anno in più o se fosse stato di sesso diverso non avrebbe mancato di considerare quell'appuntamento clandestino sotto una luce ben diversa, non certo come una semplice interruzione della festa, e avrebbe sicuramente ascoltato e ricordato quanto più era possibile della conversazione. Così, invece, era difficile attribuire un significato preciso ai frammenti di discorso che aveva udito. Il suo resoconto era stato senza dubbio onesto e degno di fede, ma lui stesso era il primo ad ammettere la possibilità di un errore. Gli sembrava che Sally avesse parlato di "una luce", ma poteva anche esserselo immaginato. Non aveva veramente ascoltato e, per di più, i due parlavano a voce bassa. D'altra parte, invece, non aveva il minimo dubbio che si trattasse di Sally, così com'era certo che la conversazione non era stata amichevole. Non poteva giurare sull'ora alla quale era uscito dalla stalla. Il tè veniva servito alle tre e mezza e la festa durava finché c'era gente e fino ad esaurimento delle cibarie. Potevano essere le quattro e mezza, quando aveva eluso la sorveglianza della signora Cope, ma non riusciva a ricordare quanto tempo era rimasto nascosto nella stalla. Gli era sembrato per molto, però. Questo era tutto, e Dalgleish dovette accontentarsi. La faccenda, comunque, era sospetta, puzzava di ricatto, ed era quasi certo che i due si erano dati un secondo appuntamento. Il fatto che Johnnie non avesse riconosciuto la voce dell'uomo sembrava escludere sia Stephen Maxie, sia gli altri abitanti del luogo, che il ragazzo avrebbe facilmente individuato. Questo, almeno, era un elemento in favore della teoria secondo la quale un altro uomo era implicato nella vicenda. Se lo straniero era ricattato da Sally e aveva effettivamente preso parte alla festa, i Maxie avrebbero potuto tirare un respiro di sollievo. Mentre ringraziava il giovane Johnnie, lo avvertiva di non far parola con nessuno di quanto aveva visto e udito e lo lasciava finalmente libero di correre dal vicario a raccontargli tutto quello che era successo, Dalgleish si stava già arrovellando il cervello sui nuovi fatti dei quali era appena venuto a conoscenza.
22
L'inchiesta venne fissata per martedì alle tre e i Maxie si sorpresero ad attendere quella data quasi con trepidazione, dal momento che essa costituiva una mèta obbligata che poteva rendere le ore meno lunghe e tormentose. Ovunque si respirava un clima costante di disagio, di tensione, come quando si avverte l'imminenza del temporale, che pure non si decide a scoppiare. La tacita convinzione che nessuno, a Martingale, poteva essere un assassino impediva che si potesse discutere in termini realistici della morte di Sally. Ciascuno aveva paura di dire qualcosa di troppo, o di dirlo alla persona sbagliata. A volte, Deborah avrebbe desiderato che i componenti della famiglia si riunissero e decidessero finalmente insieme, su basi solide e concrete, una comune linea strategica da seguire. Ma quando Stephen avanzò timidamente la medesima proposta, fu presa dal panico e si tirò indietro. L'idea di sentire Stephen che parlava di Sally era insopportabile.
Felix Hearne, invece, era diverso. Con lui si poteva discutere di qualsiasi cosa. Non aveva paura della morte, non aveva reticenze sull'argomento e non sembrava scandalizzarsi se si parlava della morte di Sally con distacco o addirittura in tono faceto. In un primo momento, Deborah considerò il prendere parte a queste conversazioni come un atto di sfida o una bravata. In seguito, si rese conto che lo humour non era altro che un mezzo per esorcizzare alla bell'e meglio la paura. Così, il martedì mattina, prima di colazione, si trovò a passeggiare tra le rose del giardino a fianco di Felix, mentre questi dava libero sfogo alla beata stramberia delle sue chiacchiere e, provocandola, la invitava a seguirlo in una inarrestabile sequela di teorie spassionate e balzane.
«Davvero, Deborah. Se dovessi scriverci un libro, il colpevole sarebbe uno dei ragazzi del paese. Derek Pullen, per esempio.»
«Ma non è stato lui. O, comunque, non aveva un movente.»
«Il movente è l'ultima cosa a cui bisogna badare. Se ne può sempre trovare uno. Forse la vittima lo ricattava. O magari voleva costringerlo a sposarla e lui non voleva. Poteva dirgli che aspettava un altro bambino. Naturalmente, non era vero, ma lui non lo sapeva. Tra loro c'era stata una di quelle solite relazioni sentimentali, un affaire in piena regola. Lo descriverei come un tipo tranquillo, dai sentimenti intensi. Tipi del genere sono capaci di tutto. Nei romanzi, perlomeno.»
«Ma lei non voleva farsi sposare. Aveva già Stephen. Non avrebbe mai voluto Derek Pullen, visto che poteva avere Stephen.»
«Tu ragioni, se così posso dire, con la cieca parzialità di una sorella. Ma sia pure come dici. Chi avresti da suggerire, allora?»
«E se fosse stato papà?»
«Vuoi dire il vecchio signore immobilizzato a letto?»
«Sì. Solo che in realtà non era proprio immobilizzato. Potrebbe essere una cosa tipo Grand Guignol. Il vecchio non voleva che il figlio sposasse quella puttanella intrigante, perciò si è trascinato quatto quatto al piano di sopra e l'ha strangolata con la sua vecchia cravatta da studente.»
Felix esaminò la proposta, ma la scartò.
«E perché non un misterioso visitatore, con un bel nome da film giallo? Chi è? Da dove viene? Potrebbe essere lui il padre del bambino?»
«Oh, no, non credo.»
«Ebbene, sì. Aveva conosciuto la vittima quando era ancora una fanciulla innocente al suo primo impiego. Stenderò un velo su quello spiacevole episodio, ma puoi immaginarti la sua sorpresa e il suo orrore nel ritrovarsela davanti, lei, la ragazza che lui aveva oltraggiato, in casa della sua fidanzata. E col bambino, per giunta!»
«Ha anche una fidanzata?»
«Certo. Una vedova affascinante, che è ben deciso ad incastrare. Ma la povera ragazza traviata minaccia di svelare tutto e lui è costretto a farla tacere per sempre. Dovrebbe essere uno di quei personaggi cinici, sgradevoli, per i quali nessuno si dispera se la polizia li acciuffa.»
«Ma non sarebbe un po' troppo volgare? Che ne dici del sovrintendente del St. Mary? Potrebbe essere uno di quei gialli psicologici con tanto di citazioni a inizio di capitolo e con un bel po' di Freud.»
«Se è Freud che vuoi, io punterei sullo zio della vittima. Sarebbe un buon pretesto per imbastire una bella trama a sfondo profondamente psicologico. Lo zio era un uomo severo, all'antica, che l'aveva cacciata di casa quando aveva saputo del bambino. Ma, come tutti i puritani dei romanzi, lui non era meglio di lei. Se la faceva con una ragazzina, semplice e innocente, che cantava nel coro della chiesa e che era finita a partorire nello stesso Ricovero della vittima. Così tutta la sordida verità era venuta a galla e, naturalmente, Sally ricattava lo zio, che doveva passarle trenta sterline alla settimana per il suo silenzio. Ovviamente, non poteva esporsi a lungo a un rischio del genere. Era troppo rispettabile.»
«E Sally che cosa ha fatto delle trenta sterline?»
«Ha aperto un conto in banca a nome del bambino. Ma questo si scoprirà a tempo debito.»
«Sarebbe bello che fosse davvero così. Ma ti stai dimenticando della futura sorellastra di Sally. Qui non c'è problema per quanto riguarda il movente.»
«Ma lei non era un'assassina» osservò subito Felix.
«Oh, maledizione, Felix, perché devi essere così sfacciatamente pieno di tatto?»
«Siccome so bene che non hai ucciso Sally Jupp, non vedo perché dovrei andare in giro a seminare inquietudini e sospetti solo per il gusto di farlo.»
«Ma io la odiavo, Felix, la odiavo davvero.»
«E va bene, cara. La odiavi davvero. Questo ti creerà dei problemi con te stessa, ma non aver troppa fretta di confidare le tue angosce alla polizia. È gente di tutto rispetto, non c'è dubbio, e hanno dei modi squisiti. Tuttavia, può darsi che manchino un po' di immaginazione. Dopotutto, la loro maggior forza è il buon senso, che sta alla base di ogni serio lavoro di indagine poliziesca. Hanno un metodo da seguire, dispongono di mezzi, perciò non occorre che tu gli vada a porgere un movente. Lascia che si guadagnino da soli lo stipendio che gli pagano i contribuenti.»
«Credi che Dalgleish scoprirà il colpevole?» domandò Deborah dopo un attimo di pausa.
«Forse lo sa già fin d'ora» ribatté Felix, serafico. «Ma raccogliere prove sufficienti a sostenere un'accusa è ben diverso. Forse oggi pomeriggio sapremo a che punto sono arrivati e che cosa sono in grado di dire, per il momento. È probabile che Dalgleish si diverta a tenerci sulla corda, ma prima o poi dovrà mettere anche lui le carte in tavola.»
L'inchiesta si risolse invece in un sollievo e in una delusione al tempo stesso. Il coroner presiedette l'udienza senza l'ausilio di una giuria. Era un uomo dalla voce mite, con un faccione triste da cane San Bernardo, che gli dava l'aria di uno a cui tutta la faccenda era capitata tra le mani per sbaglio. Ma, quanto a questo, diede prova di sapere bene quello che voleva e non perse un attimo di tempo più del necessario. Il pubblico era meno numeroso di quanto i Maxie si sarebbero aspettati. Probabilmente gli abitanti del paese non volevano sprecare tempo ed energie prima dello spettacolo vero e proprio: il funerale. Certo è che i pochi presenti se ne andarono senza saperne molto più di prima. Il procedimento fu di una semplicità disarmante. La vittima fu identificata da una donnetta nervosa e insignificante, che si rivelò essere la zia di Sally. Stephen Maxie fu chiamato al banco dei testimoni e rievocò per sommi capi le circostanze del ritrovamento. Il medico legale asserì che la morte era stata causata dalla paralisi del nervo vago in seguito a strangolazione manuale ed era stata praticamente immediata. Nello stomaco era stato rinvenuto un grano e mezzo di derivato di acido barbiturico. Il coroner non fece altre domande, se non quelle strettamente necessarie a stabilire questi fatti. La polizia chiese un aggiornamento dell'inchiesta, che fu concesso. Tutto si svolse in un'atmosfera informale, quasi amichevole. I testimoni sedevano curvi sulle seggioline della scuola di catechismo, mentre il coroner troneggiava sulla scena dall'alto della pedana del sovrintendente. I davanzali delle finestre erano rallegrati da fiori estivi deposti in alcuni barattoli di marmellata e su una parete una serie di disegni a pastello appuntati su un pannello ricoperto di flanella illustravano il cammino che ogni cristiano deve percorrere, dalla culla fino alla bara.
In questo ambiente innocente e tutto sommato abbastanza incongruo, la legge, nel rispetto delle formalità, ma senza drammi, prese atto dell'avvenuto decesso di Sarah Lillian Jupp per mano di un ignoto assassino.
23
Ora bisognava affrontare i funerali. A differenza dell'inchiesta, tuttavia, non era strettamente obbligatorio prendervi parte e tutti, tranne la signora Maxie, erano indecisi sul da farsi. La signora Maxie non se ne fece un problema e pose subito in chiaro che avrebbe presenziato alle esequie. Non lo disse apertamente, ma lo fece capire. Sally Jupp era morta in casa sua e alle sue dipendenze. I parenti della ragazza, pochi per la verità, sembravano non avere alcuna intenzione di perdonarle il fatto di essere anche da morta, oltre che da viva, un personaggio scomodo e imbarazzante. Non avrebbero, perciò, preso parte alcuna al funerale, che sarebbe partito dal St. Mary e si sarebbe svolto a spese dell'istituto. Qualcuno, comunque, avrebbe ben dovuto essere presente, e questo compito spettava quasi per dovere ai Maxie. Se una persona muore in casa tua, il minimo che tu possa fare è andare ai suoi funerali. La signora Maxie non si espresse esattamente in questi termini, ma fece capire chiaramente ai figli che il presenziare alla cerimonia sarebbe stato un atto di pura cortesia e che, se si offriva a qualcuno l'ospitalità della propria casa, si aveva anche il dovere, qualora ciò si rendesse necessario, di accompagnare i propri ospiti fino alla loro estrema dimora. Cercando di immaginarsi quali mutamenti avrebbe potuto provocare nella vita di Martingale l'indagine poliziesca su un caso di omicidio, Deborah non s'era mai resa conto del ruolo preminente che avrebbero potuto assumere le questioni, apparentemente marginali, dell'etichetta e del buon gusto. Era strano che le molteplici e pressanti angosce per la futura sorte dei componenti della famiglia potessero, almeno temporaneamente, passare in secondo piano rispetto al dubbio se inviare o meno una corona di fiori e, in caso affermativo, al problema di scegliere una formula adeguata per esprimere le proprie condoglianze. Di nuovo, la signora Maxie sembrò non attribuire eccessiva importanza alla cosa e si limitò a chiedere alla figlia se voleva che la corona fosse inviata a nome di tutta la famiglia o se preferiva mandarne una a titolo personale.
Solo Stephen era esentato dalle esequie. La polizia gli aveva concesso di rientrare in ospedale dopo l'inchiesta e di conseguenza non sarebbe tornato a Martingale fino a sabato sera, salvo che per brevissime visite. Da lui, nessuno si aspettava la casta offerta di una corona, che avrebbe fornito immediatamente alla gente del paese lo spunto per salaci pettegolezzi. Aveva, perciò, ottimi motivi per tornare a Londra e riprendere il suo lavoro. Neppure Dalgleish poteva pretendere che si trattenesse a Martingale a tempo indeterminato, per aspettare i comodi della polizia.
Anche Catherine aveva motivi altrettanto validi per rientrare a Londra, ma non ne approfittò. Le restavano ancora sette giorni di ferie ed era ben contenta di trascorrerli a Martingale. La capo-infermiera, interpellata, si era dimostrata comprensiva e aveva risposto che, se la ragazza avesse potuto essere di aiuto alla signora Maxie, la sua assenza da Londra non avrebbe presentato gravi problemi. Di aiuto, infatti, c'era bisogno. Qualcuno doveva assumersi il gravoso compito di accudire a Simon Maxie, le faccende di casa erano continuamente interrotte dalle indagini di Dalgleish e, infine, si cominciava a sentire la mancanza di Sally.
Quando la presenza di sua madre al funerale parve ormai fuori di dubbio, Deborah si sforzò di soffocare il naturale ribrezzo che l'idea stessa della cerimonia le suscitava e, di punto in bianco, annunciò che anche lei avrebbe preso parte alle esequie. Quando Catherine manifestò la stessa intenzione, la cosa non la sorprese, ma apprese con stupore, e al tempo stesso con grande sollievo, che anche Felix intendeva essere della partita.
«Non è affatto necessario che tu venga» lo rimproverò, stizzita. «Non capisco perché tutti quanti si agitino tanto. Per quanto mi riguarda, tutta la faccenda ha un che di morboso ed è francamente disgustosa. Ma se vuoi metterti in mostra anche tu, vieni pure, lo spettacolo è gratuito.» Uscì rapidamente dallo studio, ma rientrò pochi minuti dopo, per dirgli, con quel suo tono di sconcertante formalismo, che Felix non poteva fare a meno di considerare disarmante: «Mi dispiace di essere stata così brusca, poco fa. Vieni, se vuoi, te ne prego. È stato un pensiero gentile da parte tua».
D'un tratto, Felix provò una grande ira nei confronti di Stephen. Era vero che aveva buoni motivi per tornare al lavoro, ma era anche vero, ed oltremodo irritante, che riusciva sempre a trovare una scusa per evadere dalle proprie responsabilità ed evitarsi spiacevoli fastidi. Deborah e sua madre, naturalmente, non se ne rendevano conto e, quanto a Catherine Bowers, quella stupida era sempre pronta a giustificarlo. Le donne della famiglia non si sarebbero mai sognate di scaricare una parte dei propri problemi su Stephen. Ma, d'altra parte, pensò Felix, se il giovanotto avesse tenuto maggiormente sotto controllo i suoi istinti donchisciotteschi, questa spiacevole vicenda avrebbe potuto essere evitata. Felix si preparò al funerale con l'animo raggelato dall'ira, scacciando deliberatamente, con tutte le sue forze, il sospetto che questo risentimento fosse imputabile in parte a un senso di frustrazione e in parte a un sentimento di invidia.
Era di nuovo una splendida giornata. La gente indossava abiti estivi e qualche ragazza avrebbe fatto miglior figura su una spiaggia, piuttosto che al cimitero. Alcuni dei presenti erano evidentemente reduci da un picnic, che avevano abbandonato dopo aver saputo, per caso, che al cimitero si stava svolgendo uno spettacolo da non perdere. Si erano portati dietro anche i resti del banchetto, quando addirittura non erano ancora intenti a trangugiare panini e arance. Dinanzi alla tomba, però, tennero un comportamento corretto. L'ombra della morte ispirò a quasi tutti i presenti un sacro rispetto e chi si lasciò sfuggire qualche risolino nervoso fu subito fulminato dalle occhiate furenti degli spettatori più devoti. Non era il comportamento della gente che indispettiva Deborah, quanto il fatto stesso che tutte quelle persone presenziassero alla cerimonia. Si sentì invadere da un gelido odio, da un'ira la cui intensità le faceva quasi paura. Ma finì per accogliere questi sentimenti con animo grato, poiché non lasciavano luogo al dolore o alla vergogna.
I Maxie, Felix Hearne e Catherine Bowers, assieme alla signorina Liddell e a un gruppetto di ragazze del St. Mary, stavano in piedi di fianco alla fossa aperta. Sul lato opposto si trovavano Dalgelish e Martin. Poliziotti e indiziati si fronteggiavano, da un lato all'altro della tomba ancora aperta. Poco discosto, si svolgeva un altro funerale, condotto dal parroco di un'altra parrocchia. I parenti e gli amici del morto, tutti vestiti di nero, formavano un piccolo cerchio, compatto, intorno al sepolcro, come intenti ad uno strano rito esoterico al quale non dovevano assistere occhi indiscreti. Ma nessuno li notò e le parole del prete che officiava il rito furono coperte dal brusìo che si levava dalla folla radunata intorno alla tomba di Sally. Dopo poco, il piccolo corteo si allontanò in silenzio. Perlomeno, pensò Deborah, avevano dato al loro morto una sepoltura dignitosa. Ma ecco che il signor Hinks si apprestava a pronunciare qualche parola di circostanza. Saggiamente, evitò di accennare alle circostanze della morte, limitandosi ad osservare devotamente che le vie della Provvidenza sono strane e misteriose. Un'affermazione, questa, che pochi tra i presenti sarebbero stati in grado di contestare, anche se la presenza della polizia stava evidentemente a dimostrare che, almeno in quel caso, il mistero era in parte imputabile a un fattore umano.
La signora Maxie mostrò grande interesse per lo svolgimento della cerimonia: i suoi "amen" risuonarono a mo' di vigorosa approvazione al termine di ogni singola fase del sermone; sfogliò con dita abili ed esperte le pagine del suo libro di preghiere per cercarvi i vari passi che venivano declamati e aiutò in questa incombenza anche due ragazze del St. Mary, che di tanto in tanto, un po' per il dolore, un po' per l'imbarazzo, non riuscivano più a cavarsela da sole. Al termine della funzione, si avvicinò alla bara e stette per un attimo a contemplarla. Deborah capì, pur senza udir nulla, che singhiozzava. Quando si volse di nuovo verso la folla, tuttavia, il suo viso era di nuovo tranquillo e composto, tanto che nessuno al mondo avrebbe potuto cogliervi il significato di quel breve sfogo. Prima di tornare accanto alla figlia, si infilò nuovamente i guanti e si chinò un attimo per leggere uno dei messaggi di condoglianze.
«Che folla! Sembrerebbe che la gente non abbia nient'altro di meglio da fare. Però, se la piccola Sally fosse stata anche solo per metà quell'esibizionista che sembrava essere, credo che questo funerale le sarebbe piaciuto. Che cosa sta facendo quel ragazzino? È la tua mamma, questa? Beh, non lo sa vostro figlio che non si salta sulle tombe in questo modo? Dovreste badare che sia un po' più educato, se volete portarlo al cimitero. È terra consacrata, questa, non un campo-giochi. E, comunque, non mi sembra che un funerale sia uno spettacolo adatto a un ragazzo.»
Madre e figlio, tutti e due con lo stesso volto pallido e attonito, gli stessi capelli radi, le guardarono, sorpresi. Poi la donna tirò a sé il ragazzo, sbirciandosi alle spalle con occhi timorosi. La folla variopinta si stava già diradando, alcuni recuperavano le biciclette abbandonate tra le aiuole di margherite Michaelmas accanto al muro del cimitero, i fotografi riponevano la loro attrezzatura. Uno o due gruppetti si attardavano, chiacchierando a bassa voce e aspettando il momento propizio per andare a curiosare tra le corone. Borbottando tra i denti, il becchino era intento a raccattare le bucce di arancia e le cartacce. La tomba di Sally era ricoperta da una coltre multicolore. Sopra le zolle erbose e le tavole di legno che nascondevano la bara si stendeva una trapunta variopinta a pezze rosse, blu e oro e l'odore della terra grassa si mischiava all'olezzo dei fiori.
24
«Ma quella non è la zia di Sally?» s'informò Deborah. Una signora magra, nervosa, con capelli che un tempo dovevano essere stati rossi stava parlando con la signorina Liddell. Si diressero insieme verso l'uscita del cimitero. «Sicuramente è la stessa donna che identificò Sally durante l'inchiesta. Se è la zia, potremmo darle un passaggio fino a casa. Gli autobus passano molto di rado, a quest'ora.»
«Forse non sarebbe male scambiarci due chiacchiere» acconsentì Felix dopo un attimo di riflessione. La proposta di Deborah era stata dettata da pura cortesia, per evitare alla signora una lunga attesa sotto il sole cocente, ma improvvisamente si rese conto che se ne sarebbero potuti ricavare dei vantaggi pratici.
«Fatti presentare dalla signorina Liddell. Io, intanto, vado a prendere l'auto. Potresti riuscire a scoprire dove Sally ha lavorato prima di restare incinta, chi è il padre di Jimmy e se la nipote era simpatica o antipatica alla zia.»
«Tutto questo, scambiando solo due chiacchiere? Ne dubito molto.»
«Abbiamo un bel po' di tempo per torchiarla, in auto. Ti prego, proviamo.»
Deborah si diresse verso Catherine e sua madre, affrettando il passo quanto glielo consentiva il rispetto delle buone maniere e lasciando Felix ad assolvere il compito che si erano proposti. La donna e la signorina Liddell erano già uscite dal cimitero e si erano fermate in strada a scambiare ancora qualche parola. Da lontano, sembrava che stessero eseguendo una danza rituale. Si avvicinarono l'una all'altra per stringersi la mano, poi si separarono. All'improvviso, però, la signorina Liddell, che si era già voltata per andarsene, girò sui tacchi, disse qualcosa e le due donne si avvicinarono di nuovo.
Mentre Felix muoveva loro incontro, si voltarono a guardarlo ed egli vide la signorina Liddell muovere le labbra. Infine, le raggiunse e si sottopose all'inevitabile cerimonia delle presentazioni. Una mano sottile, velata da guanti di rayon di qualità scadente, toccò timidamente la sua, ma solo per un attimo, poi si ritrasse. Quel contatto apatico e quasi impercettibile gli fu tuttavia sufficiente per rendersi conto che la donna tremava. Mentre Felix parlava, gli occhi grigi, ansiosi, della signora erano rivolti altrove.
«La signora Riscoe ed io stavamo pensando di offrirle un passaggio fino a casa» disse gentilmente. «Per l'autobus ci sarà da aspettare un bel po' e per noi sarebbe un piacere fare un pezzo di strada insieme.» Questo, se non altro, era vero. La donna esitava. La signorina Liddell, la quale stranamente aveva deciso che sarebbe stato scortese rifiutare l'offerta e che, tutto sommato, la cosa non presentava alcun rischio, aveva appena iniziato a caldeggiare la proposta, quando Deborah sopraggiunse al volante della Renault di Felix, contribuendo a sbloccare la situazione. La zia di Sally le fu presentata come la signora Victor Proctor e, prima che qualcuno potesse sollevare la minima obiezione, fu comodamente sistemata sul sedile anteriore, di fianco alla ragazza. Felix si sedette dietro, con un vago senso di fastidio per lo svolgimento dell'impresa, ma tuttavia curioso di vedere come Deborah se la sarebbe cavata. "Specializzata in estrazioni indolori" pensò, mentre l'auto si avviava giù per la collina. Si chiese quanto lungo sarebbe stato il tragitto e se Deborah si fosse preoccupata di avvertire la madre che sarebbero rientrati più tardi. Senti che la ragazza diceva: «Credo di sapere, più o meno, dove abitate. È poco dopo Canningbury, o sbaglio? Ci passiamo sempre quando andiamo a Londra. Ma dovete indicarmi la strada. È stato gentile da parte vostra accettare il nostro invito. I funerali sono così deprimenti. È veramente un sollievo potersene andare in giro per un po'.»
Queste ultime parole ebbero un effetto del tutto inaspettato. Improvvisamente, la signora Proctor iniziò a piangere, silenziosamente, senza quasi muovere un muscolo del viso. Sembrava che non riuscisse assolutamente a frenare le lacrime, che le scorrevano fluenti lungo le gote e bagnavano le mani strette sul grembo. Infine, parlò, con voce bassa, ma sufficientemente chiara da sovrastare il rumore del motore. Piangeva sempre, però, silenziosamente e senza ritegno.
«In realtà, non avrei dovuto venire. Mio marito non sarebbe contento, se lo venisse a sapere. Ma non lo saprà, perché quando arriverò a casa non sarà ancora tornato e Beryl sarà ancora a scuola. Ha fatto quello che ha voluto, perciò ne paghi le conseguenze. Così dice mio marito, e non posso dargli torto. Non dopo tutto quello che ha fatto per Sally. Tra lei e Beryl non c'è mai stata nessuna differenza. Mai. Non mi stancherò mai di dirlo. Non so perché una cosa simile doveva capitare proprio a noi.»
Tutti quei lamenti e piagnistei sembrarono a Felix assolutamente ingiustificati. I Proctor, per quanto ne sapeva, non si erano assunti alcuna responsabilità nei confronti di Sally, dopo che la ragazza era rimasta incinta e non v'era dubbio che fossero riusciti a non farsi coinvolgere in alcun modo nella sua morte. Si chinò in avanti per sentire meglio. Non ne era certo, ma forse Deborah aveva pronunciato qualche parola di incoraggiamento. In realtà, la loro testimone non aveva nessun bisogno di essere torchiata. Per troppo tempo si era tenuta tutto dentro. «L'abbiamo educata bene. Nessuno potrebbe dire il contrario. E non è stato sempre facile. Anche dopo che si era diplomata, abbiamo dovuto mantenerla lo stesso. Non era una ragazza facile. Io dicevo che era stato il bombardamento a ridurla così, ma mio marito non ci credeva. Stavano con noi, a quei tempi. Avevamo una casa a Stoke Newington. Non c'erano state molte incursioni e ci sentivamo abbastanza sicuri, perché avevamo il rifugio antiaereo e tutto quanto. Fu una di quelle V1 che si portò via Lil e George. Non ricordo più nulla di come è successo, né di come ci tirarono fuori. Per circa una settimana non mi dissero nulla di Lil. Ci tirarono fuori tutti, ma Lil era morta e George morì in ospedale. Noi fummo fortunati, o perlomeno immagino che ci dovremmo considerare fortunati. Certo, mio marito ne ebbe per un bel po' e ora ha la pensione di invalidità. Ma tutti ci dissero che eravamo stati fortunati.»
"Proprio come me" pensò Felix, amaro. "Uno dei pochi fortunati."
«Così avete preso Sally con voi e l'avete allevata» interloquì Deborah.
«Per la verità, nessun altro avrebbe potuto farlo. Neppure mia madre. Non era il tipo adatto. Cercai di pensare che Lil ne sarebbe stata contenta, ma questo non basta a farti voler bene a un bambino. Sally non era una bambina a cui si potesse voler bene facilmente. Non era come Beryl. Certo, Sally aveva già dieci anni quando nacque Beryl e suppongo che per lei sia stato un trauma, dopo essere stata come una figlia unica per così tanto tempo. Ma non abbiamo mai fatto nessuna differenza tra le due. Hanno sempre avuto le stesse cose, lezioni di piano e tutto il resto. E ora doveva capitarci questo. Dopo la sua morte, è venuta da noi la polizia. Non erano in uniforme, ma si vedeva benissimo che erano poliziotti. L'hanno capito tutti. Ci hanno chiesto chi era stato, ma naturalmente non sapevamo nulla.»
«Chi era stato ad ucciderla?» Deborah sembrava incredula.
«Oh, no. Il padre del bambino. Forse hanno pensato che potesse essere lui l'assassino. Ma non abbiamo potuto dir loro nulla.»
«Suppongo che vi abbiano fatto un sacco di domande su quello che avevate fatto quella notte.»
Per la prima volta, la signora Proctor sembrò accorgersi delle proprie lacrime. Frugò nella borsetta e se le asciugò. L'interesse suscitato dalla sua storia aveva evidentemente lenito il dolore del quale aveva fatto mostra poc'anzi. Felix pensò che era poco verosimile che piangesse per Sally. Le lacrime erano state provocate dal ricordo di Lil, di George e della povera bambina che avevano lasciato o, piuttosto, da stanchezza e da un senso di sconfitta? Quasi avesse avvertito la domanda, la donna disse:
«Non so perché sto piangendo. Le lacrime non fanno resuscitare i morti. Forse è stata la messa. Abbiamo cantato lo stesso inno anche per Lil. "Il re dell'amore è il mio pastore." In realtà non è molto adatto né all'una, né all'altra. Ma mi stavate chiedendo della polizia. Immagino che anche voi ne abbiate avuto la vostra parte. Certo che sono venuti anche da noi. Gli ho detto che ero rimasta a casa con Beryl. Mi hanno domandato se eravamo andate alla festa a Chadfleet. Gli ho detto che non ne sapevamo nulla. E comunque non avremmo voluto andarci. Non vedevamo mai Sally e non avevamo nessuna voglia di andare a ficcare il naso nel posto dove lavorava. Mi ricordavo bene di quel giorno. Fu una cosa buffa. La signorina Liddell telefonò proprio quella mattina per parlare con mio marito, cosa che non aveva più fatto dal giorno in cui Sally aveva trovato il suo nuovo lavoro. Fu Beryl a rispondere alla telefonata e la cosa le fece un certo effetto. Pensò che, se la signorina Liddell aveva telefonato, doveva essere accaduto qualcosa a Sally. Invece aveva chiamato solo per dire che Sally se la cavava bene. È buffo, però, perché sapeva bene che non volevamo saperne nulla.»
Evidentemente la cosa sembrò strana anche a Deborah, perché domandò: «La signorina Liddell vi aveva mai telefonato prima per dirvi come andava Sally?».
«No. O almeno non dopo che Sally andò a Martingale. Telefonò solo per dirci che aveva trovato il posto. Almeno, mi pare. O forse ha solo scritto a mio marito, non ne sono sicura. Probabilmente avrà pensato che, visto che mio marito era il tutore di Sally, dovevamo essere informati che aveva lasciato il Ricovero. O per lo meno, allora era il suo tutore, perché adesso ha passato i ventun anni e quello che fa non ci riguarda più. Non le è mai importato molto di noi, neppure di Beryl. Ho pensato di venire oggi, perché sarebbe sembrato strano che non ci fosse nessuno della famiglia, per quanto ne dica mio marito. Ma aveva ragione lui. Andare ai funerali fa solo star male e comunque non giova certo a chi è morto. E poi, tutta quella gente! Dovrebbero avere qualcosa di meglio da fare.»
«Perciò vostro marito non aveva più visto Sally dopo che se ne era andata di casa?»
«Oh, no. Non sarebbe servito a nulla, non vi pare?»
«Suppongo che la polizia le abbia chiesto dove si trovava la notte del delitto. Lo chiedono sempre. Ma, naturalmente è solo una formalità.»
Se Deborah aveva temuto di offendere in qualche modo la signora, la sua preoccupazione era del tutto infondata.
«È buffo come fanno. Da quello che dicevano sembrava che noi avessimo potuto saperne qualcosa. Ci hanno chiesto che vita faceva Sally, se aveva dei progetti e chi erano i suoi amici. Come se Sally per noi fosse una persona importante. Hanno chiamato Beryl per chiederle della telefonata della signorina Liddell. Hanno persino chiesto a mio marito che cosa avesse fatto la notte in cui Sally era morta. Non avremmo potuto dimenticarla comunque, quella notte. È stato quando ha avuto l'incidente in bicicletta. È ritornato a casa a mezzanotte, e non certo nelle migliori condizioni, con il labbro tutto gonfio e la bicicletta ridotta a un catorcio. Aveva anche perso l'orologio, che ci è dispiaciuto molto: glielo aveva lasciato suo padre ed era d'oro vero. Ci avevano sempre detto che valeva un sacco di soldi. Perciò non ce ne dimenticheremo facilmente di quella notte, ve lo dico io.»
La signora Proctor si era ormai completamente ripresa dalle emozioni del funerale e chiacchierava a ruota libera, con la frenesia di chi è più abituato ad ascoltare che a farsi ascoltare. Deborah guidava senza nessun nervosismo, teneva le mani rilassate sul volante e gli occhi azzurri sempre fissi sulla strada, ma Felix non dubitava che in realtà la sua mente fosse altrove. Sottolineò con mormoni di solidarietà il racconto della signora Proctor e commentò: «Che terribile spavento dovete aver provato! Chissà come eravate preoccupata per il suo ritardo. Ma come è successo?»
«È stato in fondo alla collina, sulla strada per Finchworthy. Non so esattamente in che punto. Stava venendo giù veloce e qualcuno aveva lasciato dei vetri rotti sulla strada. La ruota davanti si è tagliata, ha perso il controllo della bicicletta ed è finito in un fosso. Avrebbe potuto restarci secco, gli ho detto, o ferirsi gravemente, e in quel caso chissà come sarebbe andata a finire, perché su quella strada non passa quasi mai nessuno. Avrebbe potuto rimanere lì per ore, senza che nessuno lo soccorresse. A mio marito non piace andare in bicicletta dove c'è troppo traffico, e lo capisco. È più bello se si è da soli, in santa pace.»
«Gli piace molto andare in bicicletta?» si informò Deborah.
«Ne va matto, da sempre. Naturalmente, non può più fare granché, adesso, dopo la guerra e quel famoso bombardamento. Da giovane, invece, era sempre in giro. Ma anche adesso gli piace, e la domenica pomeriggio finisce che non lo vediamo quasi mai.»
Nella voce della signora Proctor si avvertiva una sfumatura di sollievo che non sfuggì ai suoi due ascoltatori. La bicicletta e l'incidente erano un buon alibi, pensò Felix, ma se a mezzanotte era già tornato a casa, ciò bastava per eliminarlo dalla lista dei sospetti. Avrebbe impiegato un'ora buona per tornare da Martingale, supposto che l'incidente potesse essere fasullo, e avrebbe dovuto compiere tutto il tragitto in bicicletta. Inoltre, era difficile anche trovargli un movente, visto che prima dell'ingresso di Sally al St. Mary il signor Proctor non aveva avuto alcun motivo di uccidere la nipote e dopo di allora, almeno così pareva, non si erano più visti. Felix cercò di immaginarsi una possibile, cospicua eredità che, grazie alla morte di Sally, sarebbe passata a Beryl Proctor. Ma in cuor suo sapeva bene che, in realtà, non stava cercando di scoprire l'assassino di Sally, ma solo di trovare qualcuno che potesse avere avuto un motivo e la possibilità di ucciderla, per stornare l'attenzione della polizia da quelli che erano i più plausibili indiziati. In questo senso, i Proctor sembravano essere del tutto fuori discussione, ma, evidentemente, Deborah aveva deciso che c'era qualcosa da scoprire. Anche lei insisteva soprattutto sul fattore tempo.
«Avete aspettato vostro marito, quella sera, signora Proctor? A mezzanotte dovevate essere sull'orlo della disperazione, a meno che non fosse solito far tardi.»
«Beh, arrivava spesso tardi, e mi diceva sempre di non stare ad aspettarlo, così anche quella sera me ne sono andata a letto. Quasi tutti i sabati vado al cinema con Beryl. Certo abbiamo anche la televisione, e qualche volta guardiamo quella, ma almeno una volta alla settimana fa bene cambiare un po' e uscire di casa.»
«Perciò eravate a letto quando vostro marito è rientrato?» insisté gentilmente Deborah.
«Aveva la sua chiave, naturalmente, perciò non c'era bisogno che l'aspettassi alzata. Se avessi saputo che rientrava così tardi, sarebbe stato diverso. Quando mio marito è fuori, di solito vado a letto alle dieci. Non che alla domenica mattina ci si debba alzare presto come gli altri giorni, ma non ho mai avuto l'abitudine di andare a letto tardi, la sera. È proprio quello che ho detto alla polizia. "Non ho mai avuto l'abitudine di andare a letto tardi", così gli ho detto. Anche loro mi hanno chiesto dell'incidente di mio marito. L'ispettore è stato molto gentile. "È rientrato verso mezzanotte" gli ho detto. Avranno capito che era stata una brutta notte anche per noi, anche senza che Sally si facesse ammazzare in quel modo.»
«Vostro marito vi avrà svegliata, tornando a casa. Chissà com'eravate preoccupata vedendolo in quello stato.»
«Oh, sì, davvero! Ho sentito che andava in bagno e quando l'ho chiamato è venuto in camera. Aveva una brutta faccia, era verde, tutto macchiato di sangue e tremava da capo a piedi. Non so come ha fatto ad arrivare a casa. Mi sono alzata a fargli una tazza di tè mentre si lavava. Ricordo l'ora, perché me l'ha chiesta lui. Aveva perso l'orologio nell'incidente e, oltre al suo, avevamo un piccolo orologio in cucina e quello in soggiorno. Tutti e due facevano le dodici e dieci. Mi ha preso un colpo, credetemi. Quando siamo andati a letto era almeno mezzanotte e mezza e credevo proprio che non ce l'avrebbe fatta ad alzarsi, il giorno dopo.»
25
Erano arrivati a Canningbury e furono costretti a una lunga attesa dinanzi al semaforo che regolava il flusso del traffico all'incrocio tra la High Road e la Broadway. Nell'affollato sobborgo orientale di Londra quello doveva essere evidentemente un pomeriggio dedicato agli acquisti. I marciapiedi rigurgitavano di casalinghe, che, di tanto in tanto, come spinte da bisogni primordiali, deviavano in massa dal loro cammino e attraversavano la strada con esasperante lentezza. I negozi che si allineavano sui due lati della via erano stati ricavati da quella che, un tempo, doveva essere stata una serie di abitazioni; ora le loro fastose vetrine e le facciate contrastavano pacchianamente con i miseri tetti e le finestre che li sovrastavano. Il municipio, che sembrava progettato da un gruppo di deficienti in preda a un misto di estasi alcolica e di orgoglio civico, si ergeva in isolato splendore, in mezzo a due aree di case bombardate, delle quali si era appena iniziata la ricostruzione.
Chiudendo gli occhi per proteggersi dal caldo e dal rumore, Felix rammentò severamente a se stesso che Canningbury era uno dei migliori sobborghi di Londra, con un invidiabile livello di efficienza dei servizi pubblici, e che non tutti sognavano di abitare in una vecchia e tranquilla casa georgiana nel quartiere di Greenwich, dove la nebbia saliva, bianca e fitta, dal fiume e solo gli amici più intimi riuscivano a trovare il tuo portone. Fu un sollievo quando scattò il verde e, guidati dalle indicazioni della signora Proctor, poterono proseguire e imboccare, dopo una serie di curve, una via che si diramava a sinistra dalla strada principale. Qui, dietro le quinte dei grandi negozi, le massaie si incamminavano verso casa con le borse della spesa e su alcune finestre delle stanze a pianterreno, trasformate in vetrine, spiccavano le insegne di piccoli negozi di vestiti o di parrucchieri per signora con finti nomi francesi. Dopo qualche minuto, svoltarono in una viuzza tranquilla di casette tutte uguali, che si allineavano l'una accanto all'altra a perdita d'occhio. O meglio, la loro struttura architettonica era identica, e tuttavia ogni abitazione si differenziava nettamente dalle altre per il giardinetto che aveva davanti. Tutti erano lindi e ben curati. Alcuni proprietari avevano cercato di imprimervi un carattere individuale piantando alberi di araucaria, decorando le aiuole con nanetti di coccio intenti a pescare in una fontanella o creando finti paesaggi rocciosi, ma i più si erano limitati a una cornice profumata e colorata che mortificava la sciatta banalità dell'edificio di abitazione. Le tende rivelavano una scelta accurata, seppure di gusto opinabile, e frequenti lavaggi. A queste si aggiungevano delle tendine drappeggiate di pizzo o a rete, accuratamente tirate per proteggere l'intimità familiare dagli sguardi indiscreti del mondo esterno. Windermere Crescent aveva l'aria rispettabile di una via i cui abitanti si elevavano di un gradino al di sopra del quartiere ed erano ben decisi a conservare intatta la propria superiorità.
Questa, dunque, era stata la casa di Sally Jupp, che era invece caduta tanto in basso. L'auto si fermò davanti al cancelletto del numero 17 e la signora Proctor, stringendosi al petto l'informe borsetta nera, cominciò a trafficare con la serratura. «Lasciate fare a me» si offrì Deborah, chinandosi per tirare il paletto. La signora Proctor si districò e iniziò a profondersi in ringraziamenti, ma Deborah tagliò corto.
«Oh, non c'è nulla di che ringraziarci, davvero. È stato un vero piacere. Piuttosto, mi chiedo se non potrebbe offrirmi un bicchier d'acqua, prima che vada. È ridicolo, lo so, ma guidare con questo caldo mi mette una gran sete. Ma davvero, solo acqua. Non bevo quasi mai altro.»
"Ma senti questa, perdio!" pensò Felix mentre le due donne entravano in casa.
Si domandò che intenzioni avesse Deborah, adesso, e se l'attesa sarebbe stata lunga. La signora Proctor non aveva avuto scelta e aveva dovuto invitare la sua benefattrice ad entrare in casa. Non poteva certo portarle un bicchier d'acqua fuori in auto. Tuttavia, Felix era certo che l'intrusione non era stata gradita. Prima di entrare, aveva guardato ansiosamente giù per la strada e Felix immaginò che cominciasse ormai ad essere tardi e che la signora fosse terrorizzata all'idea che il marito potesse tornare prima che loro se ne fossero andati. Era di nuovo agitata, come quando l'avevano prelevata al cimitero. Per un attimo, provò un moto d'irritazione nei confronti di Deborah. DifHcilmente si sarebbe potuto ricavare qualcosa di utile da quest'impresa e non c'era senso a sconvolgere così quella patetica donnetta.
Nel frattempo Deborah, del tutto estranea a sentimenti così delicati, veniva introdotta in salotto. Una ragazzina era intenta a disporre sul piano gli spartiti per gli esercizi di musica, ma fu subito allontanata dalla stanza, poiché la signora Proctor, con quel tono falsamente cinguettante che i genitori usano in presenza di estranei, le ordinò: «Porta un bicchier d'acqua alla signora, cara». La ragazza uscì, evidentemente di malavoglia, pensò Deborah, e non senza averle rivolto, con deliberata insistenza, uno sguardo eloquente. Era una ragazzina dall'aspetto scialbo, con un viso assai comune, ma la sua somiglianza con la cugina era evidente. La signora Proctor non gliela aveva presentata e Deborah si chiese se si trattasse di una distrazione causata dal nervosismo o se la madre l'avesse fatto deliberatamente, per non far sapere alla figlia quello che aveva fatto nel pomeriggio. In questo caso, avrebbe dovuto inventare qualcosa per giustificare la visita, anche se la signora Proctor non le era parsa dotata di molta immaginazione.
Sedettero, l'una di fronte all'altra, su due poltrone, con gli schienali decorati con un ricamo raffigurante una fanciulla in cuffia e crinolina, intenta a raccogliere fiori, e con i cuscini imbottiti immacolati. Quella era, evidentemente, la stanza buona della casa, che veniva usata solo per ricevere gli ospiti e per gli esercizi al pianoforte. Aveva un che di stantìo, un vago odore di cera, di mobili nuovi e di chiuso. Sul pianoforte facevano bella mostra di sé due fotografie di bambine in costume da ballo, con i corpicini sgraziati in pose rigide e innaturali, il volto atteggiato in un sorriso artificiale e una ghirlanda di rose finte sul capo. Una delle due era la ragazzina che era appena uscita dalla stanza. L'altra era Sally. Era strano come, persino a quell'età, la medesima complessione e la stessa struttura ossea avessero conferito all'una una spiccata bellezza e all'altra un aspetto comune, quasi volgare, che non lasciava alcuna speranza per l'avvenire. La signora Proctor seguì lo sguardo di Deborah.
«Sì,» disse «abbiamo fatto di tutto per lei. Di tutto. Non abbiamo mai fatto differenze. Le abbiamo fatto prendere lezioni di piano, proprio come a Beryl, anche se non ha mai avuto il suo stesso talento. Ma le abbiamo sempre trattate allo stesso modo. È terribile che tutto sia finito così. L'altra foto, quella di gruppo, l'abbiamo fatta al battesimo di Beryl. Quella sono io, quello è mio marito, la bambina e Sally. Era carina allora, ma non è durata molto.»
Deborah si avvicinò alle fotografie. Il gruppo sedeva in posa, immobile, su sedie riccamente adorne di stucchevoli intagli e drappi scuri dello sfondo che facevano apparire la fotografia più vecchia di quanto in realtà non fosse. La signora Proctor, più giovane e avvenente, teneva maldestramente in braccio la bambina e sembrava a disagio nel suo vestito nuovo.
Sally aveva un'aria imbronciata. Il marito era in piedi alle loro spalle, con le mani inguantate autorevolmente posate sulla spalliera delle sedie. La posa aveva qualcosa di innaturale, ma dall'espressione del viso non traspariva nulla. Deborah lo guardò attentamente. Era quasi sicura di aver già visto quel volto, da qualche parte, ma il ricordo era vago e inafferrabile. D'altra parte, era un viso del tutto anonimo e la fotografia era vecchia di dieci anni. Con disappunto, tornò a sedersi. Le fotografie non le avevano detto molto e non sapeva bene che altro potesse ricavarne.
Beryl Proctor arrivò con il bicchier d'acqua, uno dei bicchieri migliori, su un vassoietto di cartapesta. Di nuovo, non vi furono presentazioni e, mentre beveva, Deborah fu conscia del fatto che tutt'e due desideravano solo che lei se ne andasse. D'un tratto, ella stessa non desiderò altro che uscire da quella casa e togliersi di torno sia la madre che la figlia. Non capiva bene quale impulso l'avesse spinta ad entrare. Forse l'aveva fatto per noia, o forse perché sperava di scoprire qualcosa, ma soprattutto, credeva, per curiosità. Dopo morta, Sally era divenuta assai più interessante, e aveva voluto vedere com'era la casa dalla quale era stata cacciata. Ora la sua curiosità le sembrò presunzione e il suo ingresso in quella casa un'intrusione che non voleva far proseguire oltre.
Salutò e tornò da Felix. Fece guidare lui e i due non dissero una parola, finché non si furono lasciati il paese alle spalle e finché la macchina, liberatasi dai tentacoli suburbani, non si trovò in aperta campagna.
«Beh,» esordì, infine, Felix «l'investigazione ha dato i suoi frutti? Sei sicura di voler continuare?»
«Perché no?»
«È solo che potresti scoprire cose che preferiresti non sapere.»
«Ad esempio che nella mia famiglia c'è un assassino?»
«Non ho detto questo.»
«Non l'hai detto, perché sei pieno di tatto, ma preferirei che fossi onesto, con me. Questo è quello che pensi, non è vero?»
«Basandomi sulla mia esperienza di assassino, direi che una possibilità c'è.»
«Tu stai pensando alla Resistenza. Ma quello non era assassinio. Non hai ammazzato delle donne.»
«Ne ho uccise due. Ammetto che usai armi da fuoco e non le strangolai, e che all'epoca mi parve necessario.»
«Anche questo delitto è stato necessario - per qualcuno» osservò Deborah.
«E allora, perché non lasciare che se ne occupi la polizia? Dovranno solo fare la fatica di raccogliere abbastanza prove per sostenere l'imputazione. Se cominciamo ad interferire, rischiamo solo di regalargli le prove di cui hanno bisogno. Il caso è ancora del tutto aperto. Stephen e io siamo entrati in camera di Sally dalla finestra. Chiunque altro avrebbe potuto farlo. La maggior parte della gente del paese sapeva probabilmente dove si trovava la scala. La porta chiusa dall'interno è una prova inconfutabile. Comunque sia entrato, è certo che l'assassino non è uscito dalla porta. L'unica cosa che collega l'omicidio con Martingale è il Sommeil, ma il collegamento non è necessariamente automatico. Anche se il sonnifero è stato usato a quello scopo, non eravamo certo i soli a potercelo procurare.»
«Non ti stai affidando troppo alle coincidenze?» ribatté Deborah, freddamente.
«Le coincidenze sono cose di tutti i giorni. Qualsiasi giurato potrebbe raccontare almeno una mezza dozzina di casi di coincidenze che gli sono capitate nella sua vita. L'interpretazione più plausibile dei fatti, finora, è che qualcuno, che Sally conosceva, si è introdotto in camera sua dalla finestra e l'ha uccisa. Può anche non aver usato la scala. Sulla parete esterna ci sono dei graffi, come se si fosse lasciato scivolare giù dalla canna fumaria e avesse perso l'appiglio poco prima di arrivare a terra. La polizia deve averli notati, ma non so proprio come potranno provare da che cosa sono stati prodotti. Sally può aver fatto entrare qualcuno in quel modo anche altre volte.»
«Ti sembrerà strano, ma non lo credo possibile, non so bene perché. Non mi sembrava il tipo. Mi piacerebbe che fosse così, per il bene di tutti, ma non lo credo. Sally non mi è mai piaciuta, ma non credo che fosse una poco di buono. Non voglio che ci togliamo dai guai, infangando ancora di più la reputazione di quella poveretta, ora che non può più difendersi.»
«Penso anch'io che tu abbia ragione, riguardo a Sally» ammise Felix. «Tuttavia, non ti consiglierei di fare omaggio delle tue opinioni in proposito all'ispettore. Lascia che si costruisca da sé un'immagine psicologica di Sally. Se teniamo la bocca chiusa e i nervi saldi, questo caso potrebbe anche insabbiarsi da solo. Il maggior pericolo è il Sommeil. La bottiglietta nascosta fa pensare che tra il delitto e il sonnifero ci sia un legame. Comunque era stato messo nella tua tazza e chiunque avrebbe potuto farlo.»
«Anch'io.»
«Anche tu, certo. O anche Sally stessa. Forse aveva preso la tua tazza per farti un dispetto. Anzi, credo che sia stato proprio così. Ma poteva essersi versata il sonnifero allo scopo tutt'altro che sinistro di passare una notte tranquilla. La dose non era letale.»
«In questo caso, perché mai è stata nascosta la bottiglietta?»
«Diciamo che è stata nascosta da qualcuno che credeva, erroneamente, che vi fosse una connessione tra il sonnifero e il delitto e non voleva che la cosa si scoprisse, o da qualcuno che sapeva che le due cose non erano connesse, ma voleva che i sospetti si appuntassero sulla famiglia. E, in particolare, su di te, visto che il nascondiglio era segnato con il tuo paletto. Questo piacevole pensiero dovrebbe farti riflettere.»
Ora stavano costeggiando la collina sopra Little Chadfleet. Sotto di loro si stendeva il paese e si intravedevano, tra gli alberi, gli alti comignoli grigi di Martingale. Il ritorno a casa fece riaffiorare, come un'oscura nube, le angosce e le paure che la gita in auto era riuscita solo in parte a dissipare.
«Se non riusciranno a risolvere questo caso» disse Deborah «ti immagini come potremo vivere a Martingale? Non credi che sia necessario conoscere la verità? Sei davvero convinto che non l'abbia uccisa Stephen, o io?»
«Tu? Non con quelle mani e quelle unghie. Non hai notato che l'assassino ha usato una forza notevole, e che il collo era tumefatto, ma non c'erano graffi? Stephen sì, sarebbe possibile. E così Catherine, tua madre o Martha. E io pure. L'abbondanza di persone sospette è la nostra maggiore ancora di salvezza. Lascia che sia Dalgleish a fare la sua scelta. Per quel che riguarda vivere a Martingale con l'ombra di un crimine insoluto - immagino che questa casa ne abbia viste di violenze, negli ultimi trecento anni. Non tutti i tuoi antenati hanno vissuto un'esistenza pacifica e ordinata, anche se poi sono morti con tutti i sacramenti della religione. Tra duecento anni la morte di Sally sarà una delle tante leggende da raccontare ai tuoi pronipoti la notte di Ognissanti, per farli spaventare. E se proprio non puoi sopportare di stare a Martingale, c'è sempre Greenwich. Non voglio seccarti di nuovo con questa storia, ma tu sai come la penso.»
La sua voce era quasi priva di espressione. Le mani erano appoggiate al volante e gli occhi sempre fissi sulla strada, concentrati sulla guida, ma con naturalezza e senza sforzo. Sembrò indovinare i pensieri della sua compagna di viaggio, perché disse:
«Non preoccuparti. Non complicherò le cose più del necessario. Solo non vorrei che qualcuno di quei fusti con i quali vai in giro equivocasse sulle mie intenzioni.»
«Felix, mi vorresti, se io scappassi via?»
«E questo lo chiami non essere melodrammatici? Cos'altro abbiamo fatto, in questi ultimi dieci anni? Ma se vuoi sposarti solo per fuggire da Martingale, potrebbe non valerne la pena. Quando siamo venuti via da Canningbury abbiamo incrociato Dalgleish e uno dei suoi scagnozzi che venivano in senso opposto. Probabilmente, erano diretti dove noi siamo appena stati. Forse il tuo istinto non ti aveva del tutto ingannato, a proposito dei Proctor.»
Posteggiarono la macchina in garage, senza più parlare, ed entrarono in casa, dove regnava una piacevole frescura. Catherine Bowers stava salendo le scale. Portava un vassoio con una tovaglietta di lino, e il camice bianco che indossava di solito quando accudiva a Simon Maxie le conferiva un'aria gelida, efficiente, adatta alla circostanza. Non fa mai piacere vedere un'altra persona che, davanti a tutti, assolve con competenza un compito che in coscienza si riconosce come proprio, e Deborah fu abbastanza onesta con se stessa da ammettere che quella era la causa del moto di stizza dal quale fu colta. Tentò di nasconderlo, mostrandosi insolitamente loquace.
«Il funerale è stato terribile, non è vero, Catherine? Mi dispiace di essere scappata via così con Felix. Abbiamo accompagnato a casa la signora Proctor. Improvvisamente, mi era venuta voglia di scaricare la colpa dell'omicidio sullo zio cattivo.»
Catherine non si scompose.
«Ho chiesto dello zio all'ispettore, quando mi ha interrogata la seconda volta. Mi ha detto che la polizia aveva accertato che lo zio di Sally non aveva potuto commettere il delitto. Non mi ha spiegato, perché. Se fossi in te, lascerei fare a lui. Dio solo sa se non c'è già abbastanza da fare, qui.»
Detto questo, proseguì per la sua strada. Seguendola con lo sguardo, Deborah disse:
«Sarò cattiva, ma se qualcuno a Martingale ha ucciso Sally, vorrei che fosse Catherine.»
«Ma è poco probabile, invece, non ti pare?» osservò Felix. «Non credo che ne sarebbe capace.»
«E noialtri sì? Anche la mamma?»
«Lei in particolare, direi, se lo reputasse necessario.»
«Non lo credo» ribatté Deborah. «Ma anche se fosse, credi che se ne starebbe zitta, lasciando che la polizia metta sottosopra tutta Martingale e che gente come la signorina Liddell e Derek Pullen venga sospettata al suo posto?»
«No» disse Felix. «No, questo non lo credo.»
26
Il Rose Cottage, sulla Nessingford Road, era una casa contadina della fine del diciottesimo secolo, il cui fascino esteriore e la cui pàtina di antichità avevano fatto pensare a non pochi automobilisti di passaggio che se ne sarebbe potuto ricavare qualche cosa. I Pullen, in effetti, qualcosa ne avevano ricavato, ovvero un'esatta riproduzione di una qualsiasi casa di città. In salotto, tutto lo spazio davanti alla finestra era occupato da una grande statua di cane alsaziano. Dietro alla statua, le tende di pizzo cadevano in eleganti drappeggi, fissate con un nastro blu. La porta d'ingresso si apriva direttamente nel soggiorno. Qui l'entusiasmo dei Pullen per l'arredamento moderno aveva superato ogni limite e il risultato era ad un tempo bizzarro e irritante. Una delle pareti era ricoperta con carta da parati a stelline rosa su fondo blu. La parete di fronte era dipinta con la stessa tonalità di rosa. Le sedie erano ricoperte con una stoffa blu a strisce, evidentemente scelta con cura, perché s'intonasse con la tappezzeria. Il tappeto di crine era color rosa pallido, ma aveva evidentemente sofferto per il continuo andirivieni di scarpe infangate. Non v'era nulla di pulito, nulla che fosse fatto per durare, nulla di semplice, di onesto. Dalgleish trovò il tutto profondamente deprimente.
Derek Pullen e la madre erano in casa. La signora Pullen non ebbe, all'arrivo di due funzionari di polizia che indagano su un caso di omicidio, le reazioni che ci si potrebbe aspettare da una persona normale, ma accolse i visitatori con un profluvio di espressioni di benvenuto, come se fosse rimasta a casa apposta per loro e, anzi, li aspettasse con impazienza. Le frasi si accavallavano l'una sull'altra. Che piacere conoscerli... suo fratello era un agente di polizia... forse lo avevano sentito nominare... un certo Joe Pullen, in servizio giù a Barkingway... è sempre meglio dire la verità alla polizia... oddio, non che ci sia nulla da dire... povera signora Maxie... non riusciva neppure a crederci, quando la signorina Liddell glielo aveva detto... era venuta a casa e l'aveva detto a Derek e neppure lui ci aveva creduto... non era certo il tipo di ragazza che un uomo per bene potesse sposare... i Maxie erano gente orgogliosa... una ragazza come quella voleva dire guai. Mentre parlava, i suoi occhi vagavano sul viso di Dalgleish, ma senza dar segno di intelligenza. Dietro a lei, un po' discosto, stava il figlio, rassegnato all'inevitabile.
Così Pullen aveva saputo del fidanzamento sabato notte, anche se, come la polizia aveva accertato, aveva passato la sera con un gruppo di colleghi d'ufficio al Theatre Royal di Stratford e non era stato alla festa.
Dalgleish non riusciva a convincere la volubile signora Pullen a ritirarsi in cucina e a lasciare che il ragazzo rispondesse da solo alle domande, ma Derek stesso gli venne in soccorso, pregando lamentosamente la madre di lasciarli in pace. Evidentemente, si aspettava quella visita. Quando Dalgleish e Martin erano entrati, si era alzato dalla sedia e li aveva guardati con l'espressione coraggiosa e patetica di un uomo cui l'attesa aveva già logorato le misere forze. Dalgleish lo trattò con estrema gentilezza. Sembrava che parlasse a un figlio. Martin lo aveva già visto usare quella tecnica altre volte. Con i tipi nervosi, emotivi, soprattutto se colpevoli, il risultato era garantito. Il senso di colpa, pensò Martin, era una cosa ben strana. Quel ragazzo, probabilmente, non aveva fatto nulla di peggio che trovarsi qualche volta con Sally per scambiarsi qualche bacio e qualche carezza, ma non avrebbe avuto pace, finché non vuotava il sacco con qualcuno. Oppure, poteva essere un assassino. In questo caso, la paura gli avrebbe fatto tenere la bocca chiusa ancora per un po'. Ma alla fine avrebbe ceduto. Quanto prima, avrebbe visto nel paziente, comprensivo e onnipotente Dalgleish quel confessore del quale la sua coscienza aveva disperato bisogno. A quel punto, lo stenografo avrebbe fatto fatica a tener dietro al fiume di accuse e di colpe che il ragazzo avrebbe pronunciato contro se stesso. La coscienza, prima o poi, tradiva chiunque e Dalgleish lo sapeva meglio di chiunque altro. A volte il sergente Martin, che non era certo il più sensibile degli uomini, pensava che il mestiere del poliziotto non era per nulla piacevole.
Ma, fino a quel momento, Pullen reggeva bene alle domande. Ammise di essere passato da Martingale, sabato notte. Stava studiando per un esame e voleva prendere un po' d'aria fresca, prima di andare a letto. Lo faceva spesso, sua madre poteva confermarlo. Prese la busta proveniente dal Venezuela, trovata in camera di Sally, sollevò gli occhiali a molla sulla fronte ed esaminò con sguardo miope le date che vi erano scarabocchiate sopra. Ammise a mezza voce che la scrittura era sua. La busta gli era stata indirizzata da un corrispondente amico che stava in Sud America. L'aveva usata per annotare le ore nelle quali poteva vedersi con Sally. Non ricordava quando aveva dato la busta alla ragazza, ma gli appuntamenti segnati si riferivano al mese precedente.
«Lei chiudeva la porta della stanza e scendeva da voi lungo la canna fumaria, non è così? Non abbiate paura di tradire un segreto. Abbiamo trovato l'impronta delle sue mani sulla canna. Che cosa facevate durante i vostri incontri?»
«Un paio di volte abbiamo fatto una passeggiata in giardino. La maggior parte delle volte ci rifugiavamo nella stalla a chiacchierare.» Evidentemente, credette di scorgere dell'incredulità nell'espressione di Dalgleish, perché arrossì e disse, con tono difensivo:
«Non abbiamo fatto l'amore, se è questo che pensate. Suppongo che tutti i poliziotti pensino subito a cose sconce, ma lei non era così.»
«Com'era?» domandò Dalgleish, gentilmente. «Di che cosa parlavate?»
«Un po' di tutto. Di tutto. Credo che lei sentisse la mancanza di qualcuno della sua età. Non era felice quando stava al St. Mary, ma almeno c'erano le altre ragazze con cui fare quattro risate. Era bravissima nelle imitazioni. Sembrava proprio di sentir parlare la signorina Liddell. Parlava anche di casa sua. I suoi genitori sono morti durante la guerra. Se fossero vissuti, la sua vita sarebbe stata diversa. Suo padre era un professore universitario e la sua casa sarebbe stata ben diversa da quella di sua zia. Avrebbe avuto la possibilità di farsi una cultura e... beh, sarebbe stato diverso.»
Dalgleish pensò che Sally era stata una ragazza a cui piaceva giocare di fantasia e in Derek Pullen aveva trovato, se non altro, un credulo ascoltatore. Ma su questi incontri c'era qualcos'altro che Pullen non voleva dire. La ragazza l'aveva usato per qualche scopo. Ma quale?
«Le avete tenuto voi il bambino quando è andata a Londra, il giovedì prima di morire, vero?»
Era un colpo alla cieca, ma Pullen non sembrò neppure sorpreso che l'ispettore lo sapesse.
«Certo. Lavoro in un ufficio pubblico e posso prendermi un giorno di ferie ogni tanto, se voglio. Sally mi ha detto che voleva andare in città e non ci ho veduto nulla di strano. Ho pensato che volesse andare a vedere un film o a fare delle compere. Le altre madri possono farlo.»
«È strano che non abbia lasciato il bambino a Martingale, se voleva andare a Londra. La signora Bultitaft sarebbe stata ben lieta di tenerle il bambino, una volta ogni tanto. Perché tutti questi segreti?»
«A Sally piaceva così. Le piacevano i segreti. Credo che in gran parte il fascino delle sue uscite notturne consistesse in questo. A volte mi sembrava che non le piacesse affatto. Era preoccupata per il bambino o magari aveva solo sonno. Ma non poteva fare a meno di venire. La piaceva troppo pensare, il giorno dopo, che l'aveva fatta franca un'altra volta.»
«Non le avevate detto che vi sareste trovati tutti e due nei guai, se vi avessero scoperti?»
«Non vedo perché avrei dovuto trovarmici io» rispose Pullen, risentito.
«Credo che vogliate farvi passare per ingenuo più di quanto in realtà non siate. Sono pronto a credere che voi e la signorina Jupp non eravate amanti, perché ho la presunzione di riuscire a capire quando la gente dice la verità e perché questo collima con quanto già sapevo sul vostro conto. Ma non potete credere veramente che anche gli altri sarebbero stati così accomodanti. C'è sempre una interpretazione ovvia dei fatti, ed è quella che la gente sceglie per prima, specialmente in circostanze come quelle.»
«Già. Solo perché la ragazza aveva un figlio illegittimo, doveva essere una ninfomane.» Il ragazzo usò quest'ultimo termine con evidente affettazione, come se ne avesse appena appreso il significato.
«Vedete, non credo che tutti sappiano qual è il vero significato di questa parola. Può darsi che la gente abbia un animo cattivo, ma è sorprendente constatare quanto spesso questa cattiveria ha una sua giustificazione. Non mi pare che Sally Jupp si comportasse bene con voi usando quelle stalle come nascondiglio, a Martingale. Dovete averlo pensato anche voi, non è vero?»
«Sì, credo di sì.» Il giovanotto distolse lo sguardo, con aria triste, e Dalgleish attese. Sentiva che c'era ancora qualcosa da chiarire e che Pullen era frenato dalla propria incapacità di esprimersi e dall'apparente difficoltà di descrivere a due poliziotti, che non l'avevano neppure mai vista, la ragazza che lui aveva conosciuto, viva, allegra e scapestrata. Dalgleish lo capiva. Non aveva alcun dubbio sull'effetto che una storia del genere avrebbe fatto su una giuria e ringraziava il cielo che non sarebbe toccato a lui convincere dodici brave ed oneste persone che Sally Jupp, giovane, bella e non più innocente, sgattaiolava fuori dal letto nel cuore della notte e lasciava solo suo figlio, seppure per poco, solo per il piacere di una discussione intellettuale con Derek Pullen.
«La signorina Jupp vi ha mai detto di aver paura di qualcuno, o di avere qualche nemico?» domandò.
«No. Non era abbastanza importante per avere nemici.»
"Non fino a sabato sera, almeno" pensò Dalgleish.
«Non vi ha mai confidato nulla riguardo al bambino? Chi era il padre, per esempio?»
«No.» Il ragazzo era riuscito in parte a dominare la paura e la voce si era fatta ostile.
«Vi ha detto perché voleva andare a Londra, quel giovedì pomeriggio?»
«No. Mi ha chiesto di badare a Jimmy, perché era stufa di portarlo in giro per il bosco e voleva andar via dal paese. Ci siamo messi d'accordo che me l'avrebbe portato alla stazione di Liverpool Street. Si è portata dietro il passeggino pieghevole e io l'ho portato al St. James Park. Alla sera gliel'ho riportato e siamo tornati a casa ognuno per proprio conto. Non volevamo dare altro motivo di chiacchiere ai pettegoli del paese.»
«Non avete mai pensato che potesse innamorarsi di voi?»
«Sapevo fin troppo bene che non lo era.» Per un attimo, guardò Dalgleish negli occhi, poi disse, quasi come se fosse egli stesso sorpreso di quella confidenza:
«Non voleva neanche che la toccassi.»
Dalgleish tacque per un momento, poi con voce pacata chiese:
«Quelli non sono gli occhiali che portate di solito, non è vero? Che cosa ne avete fatto degli altri?»
Il ragazzo se li strappò quasi via dal naso e li serrò nella mano, per nasconderli, con un gesto patetico quanto inutile. Poi, rendendosi conto del significato di quel moto istintivo, estrasse dalla tasca un fazzoletto e si diede un gran da fare a pulire le lenti.
Quando se li rimise sul naso, dove rimasero in precario equilibrio, le mani gli tremavano. Con voce rauca per il terrore, rispose:
«Li ho perduti. Cioè, li ho rotti. Sono a riparare.»
«Li avete rotti lo stesso giorno che vi siete fatto quell'escoriazione sopra l'occhio?»
«Sì. Ho battuto contro un albero.»
«Davvero? Sembra che gli alberi, da queste parti, siano molto pericolosi. Anche il dottor Maxie si è sbucciato un ginocchio con la corteccia di un albero. Che fosse lo stesso?»
«Quel che è capitato al dottor Maxie non mi riguarda affatto. Non capisco cosa volete dire.»
«Io credo di sì, invece» disse Dalgleish, gentilmente. «Vi chiederò di ripensare attentamente a quanto abbiamo detto e poi vi chiederò di scrivere una dichiarazione e di firmarla. Comunque, non c'è fretta. Sappiamo dove trovarvi, se avremo bisogno di voi. Nel frattempo, parlatene con vostro padre, quando rientra. Se uno di voi due vuole vedermi, fatemelo sapere. E ricordate: qualcuno ha ammazzato Sally. Se non siete stato voi, non avete nulla da temere. In ogni caso, spero che troviate il coraggio di dirci quello che sapete.» Tacque per un momento, ma i suoi occhi incontrarono solo lo sguardo fisso e risoluto, colmo di terrore, del ragazzo. Dopo un minuto, si volse e fece cenno a Martin di seguirlo.
Mezz'ora più tardi, il telefono di Martingale squillò. Deborah, che passava dall'ingresso con il vassoio di suo padre, si fermò, appoggiò il vassoio sull'anca e alzò il ricevitore. Un minuto dopo si affacciava alla porta del soggiorno.
«Stephen, è per te. Al telefono. Pensa un po', è Derek Pullen!»
Stephen, che era tornato a casa inaspettatamente, ma solo per qualche ora, non alzò neppure gli occhi dal libro che stava leggendo, ma Deborah notò che rimase per un attimo immobile e irrigidì leggermente i muscoli della schiena.
«Oh, Dio. Che cosa vuole?»
«Vuole te. Sembra molto preoccupato.»
«Digli che sono occupato, Deb.»
Deborah tradusse il messaggio in termini più civili. La voce all'altro capo del filo si alzò sempre più di tono, fino ad essere quasi incomprensibile. Scostando il ricevitore dall'orecchio, Deborah mormorò qualcosa per cercare di calmare il ragazzo e avvertì l'insorgere di quel pianto isterico contro il quale, al giorno d'oggi, non si sono mai poste barriere sufficienti. Tornò in soggiorno.
«Faresti meglio a venire, Stephen. Sembra veramente nei guai. Che cosa diavolo avete fatto, voi due? Dice che è andata da lui la polizia.»
«Tutto qui? Non è mica il solo. Digli che la polizia è venuta anche da me e ci è rimasta per circa sei ore, tra una cosa e l'altra. E non hanno ancora finito. Digli di tenere la bocca chiusa e di non rompermi più le scatole.»
«Non è meglio che glielo dica tu?» suggerì Deborah in tono suadente. «Non sono in confidenza con te, figuriamoci con lui.»
Stephen bestemmiò tra i denti e andò al telefono. Soffermandosi un attimo nell'ingresso a rimettere in equilibrio il vassoio, Deborah poté udire le secche, impazienti rimostranze del fratello.
«Va bene. Va bene. Diteglielo pure, se volete. Non sarò certo io ad impedirvelo. Tanto, staranno ascoltando comunque questa conversazione... No, per essere sinceri non l'ho fatto, ma non fatevi influenzare da questo... Mio caro, non m'importa un fico di quello che gli direte, né di quando o come glielo direte, basta che, per l'amor di Dio, la piantiate di seccarmi. Arrivederci.»
Ormai fuori dal raggio d'ascolto, in corridoio, Deborah pensò tristemente: "Stephen e io siamo cresciuti così lontani l'uno dall'altra che potrei chiedergli senza mezzi termini se ha ucciso Sally e non saprei che risposta aspettarmi".
27
Dalgleish e Martin sedevano nella saletta privata del Moonraker's Arms con quel senso di insoddisfatta sazietà che è spesso la conseguenza di un cattivo pasto. Eppure li avevano assicurati che la signora Piggott, tenutaria della locanda con il marito, era rinomata per la sua ottima e abbondante cucina casalinga. La descrizione era sembrata di cattivo auspicio ai due uomini, che i frequenti viaggi avevano reso avvezzi alle stravaganze della buona e semplice cucina inglese. Tra i due, chi aveva sofferto di più era probabilmente Martin. La permanenza in Francia e in Italia, durante la guerra, gli aveva fatto conoscere e apprezzare la cucina continentale, alla quale da allora, in occasione delle sue vacanze all'estero, non aveva più potuto fare a meno di indulgere. Gran parte del suo tempo libero e tutti i suoi risparmi erano dedicati a questo culto. Sia lui che la moglie, una donna allegra e intraprendente, erano viaggiatori entusiasti e senza eccessive pretese, fiduciosi nella loro capacità di farsi capire, ben volere e ben nutrire in qualsiasi angolo d'Europa. Finora, stranamente, non erano mai stati delusi. Solidale con la profonda infelicità delle proprie viscere, Martin sognava il cassoulet de Toulouse e rammentava con nostalgia quel poularde en vessu che aveva assaggiato per la prima volta in un alberghetto dell'Ardèche. Le pretese di Dalgleish, invece, erano ad un tempo più semplici e più severe. Non desiderava altro che una buona cucina inglese, fatta come si deve.
La signora Piggott era celebre per le sue minestre. E riusciva a difendere la propria fama, purché gli ingredienti in scatola fossero mischiati a dovere e privi di grumi. Sperimentava anche nuove misture con sapori diversi e il piatto del giorno, a base di crema di pomodoro (arancione) e minestra di coda di bue (marrone rosrastro), densa al punto che il cucchiaio stava in piedi da solo, costituiva una vera sorpresa, tanto per gli occhi, quanto per il palato. Alla minestra aveva fatto seguito una coppia di costolette di maiale, artisticamente adagiate su un monticello di purea di patate e contornate dai piselli in scatola più grossi e lucenti che mai baccello avesse visto. Sapevano di farina di soia. Ne colava un liquido verde, di un colore non riferibile ad alcun tipo di verdura, che formava un orrido connubio con la salsa. Il pranzo era stato coronato da una crostata di mele e ribes, i cui ingredienti non avevano mai fatto conoscenza gli uni degli altri prima che la mano premurosa della signora Piggott li disponesse in bell'ordine sul piatto e li cospargesse abbondantemente di crema sintetica.
Martin si scosse dalla contemplazione di quegli orrori culinari e dedicò la propria attenzione al caso in esame.
«È curioso, signore, che il dottor Maxie abbia chiamato il dottor Hearne per aiutarlo a portare la scala. Un uomo robusto potrebbe benissimo portarla da solo. Per raggiungere l'edificio delle stalle la via più rapida era la scala di servizio. Invece, Maxie è andato in cerca di Hearne. Sembra che abbia voluto procurarsi un testimone per il ritrovamento del cadavere.»
«Certo, è possibile. Anche se non ha ucciso la ragazza, forse voleva avere con sé un testimone, qualunque cosa avesse trovato nella stanza. E poi, era in pigiama e vestaglia. Non è certo il tipo di abbigliamento più adatto per montare su una scala e introdursi in una finestra.»
«Sam Bocock ha confermato fino a un certo punto la versione del dottor Maxie. Ma questo non vuol dir molto, finché non si stabilisce esattamente l'ora della morte. Tuttavia, prova che almeno su un punto ha detto la verità.»
«Sam Bocock confermerebbe qualsiasi cosa detta dai Maxie. Quell'uomo sarebbe una vera manna per un collegio di difesa. A parte il dono naturale che ha di dire poco o nulla e, nel contempo, dare l'impressione di assoluta e incorruttibile sincerità, è onestamente convinto che i Maxie siano innocenti. L'avete sentito: "È brava gente". La verità, nulla di più. Non cambierebbe idea neppure se Dio stesso venisse a testimoniare il contrario in tribunale. L'Old Bailey non gli fa paura.»
«Credevo che fosse un testimone onesto, signore.»
«Ma certo, Martin. Anche a me sarebbe piaciuto molto di più se non mi avesse guardato con quell'espressione curiosa, tra il divertito e il compassionevole, che ho già osservato diverse volte nella gente di campagna. Anche voi venite dalla campagna e senza dubbio potete capirla meglio di me.»
Certo che poteva, ma v'erano frangenti in cui la discrezione aveva di gran lunga la precedenza sull'amor proprio.
«Sembra che sia un grande amante della musica. Aveva un bel giradischi. È buffo vedere un apparecchio ad alta fedeltà in una casa come quella.»
In effetti il giradischi, con i dischi disposti in bell'ordine tutt'intorno, era un elemento abbastanza anomalo nel salotto del cottage, dove tutti gli altri oggetti costituivano un retaggio del passato. Bocock, evidentemente, condivideva con gli altri abitanti della campagna il rispetto per l'aria fresca. Le due finestre della stanza erano chiuse; né, d'altra parte, mostravano segno d'essere mai state aperte. La tappezzeria era decorata con intrecci di rose, secondo il gusto d'altri tempi... Sulle pareti, in caotica profusione, erano appesi trofei e ricordi della prima guerra mondiale: un gruppo di soldati a cavallo, alcune medaglie incorniciate sotto vetro, un ritratto di re Giorgio V e della regina, con colori d'oltretomba. C'erano poi le foto di famiglia, di parenti che un estraneo mai avrebbe potuto identificare. Quel signore serio, con i baffi, ritratto a fianco della moglie, di epoca edoardiana, era il padre o il nonno di Bocock? Era possibile che conservasse la memoria di una devozione familiare nei confronti di gruppi di personaggi color seppia, di quei gentiluomini di campagna con bombetta e vestito della domenica e delle loro pettorute figlie e consorti? Sopra il caminetto c'erano le foto più recenti. Stephen Maxie, tutto fiero in sella al suo primo pony col pelo lungo, affiancato da un Bocock, molto più giovane, ma perfettamente riconoscibile. Una Deborah Maxie con la treccia, china in sella a ricevere la coccarda. Questo miscuglio di cose vecchie e nuove rivelava che il proprietario della stanza era un vecchio soldato, che teneva disciplinatamente da conto tutte le sue cianfrusaglie.
Bocock li aveva accolti con una sorta di naturale dignità. Stava prendendo il tè. Benché vivesse da solo, aveva l'abitudine, tipicamente femminile, di disporre sulla tavola tutte le possibili cibarie, evidentemente per poter soddisfare prontamente qualsiasi desiderio della gola. C'erano un filone di pane, un vasetto di marmellata con il cucchiaino infilato dentro, un vasetto di vetro decorato contenente fettine di barbabietola e un vasetto di cipolline, infine un cetriolo infilato maldestramente in un vaso troppo piccolo. Al centro della tavola, una zuppiera di lattuga e una grossa torta, evidentemente di fattura casalinga, si contendevano l'onore di far la parte del leone. Dalgleish si era ricordato che la figlia di Bocock aveva sposato un agricoltore di Nessingford e teneva d'occhio il padre. La torta era, probabilmente, un omaggio della figlia. Oltre a quell'abbondanza di cibarie, era evidente, dai resti nel piatto e dall'odore che ancora si sentiva, che Bocock aveva appena finito di ingurgitare pesce e patatine fritte.
Dalgleish e Martin furono pregati di accomodarsi nelle massicce poltrone che si trovavano ai due lati del camino - anche in quell'afosa giornata di luglio c'era un fuocherello acceso, la cui esile fiamma era a malapena visibile a causa di un raggio di sole che filtrava dalla finestra volta a occidente - e fu loro offerta una tazza di tè. Dopo di ciò, Bocock ritenne di aver assolto ai propri doveri di padrone di casa e che toccasse ora agli ospiti prendere la parola. Nel frattempo, continuò a sorbire il suo tè, spezzando il pane con le mani brune e affusolate e infilandone distrattamente dei grandi pezzi in bocca, dove poi venivano masticati e rigirati con silenziosa concentrazione. Da parte sua, non fece alcun commento, limitandosi a rispondere alle domande di Dalgleish con una determinazione che dava l'impressione di una assoluta mancanza di interesse, più che di una renitenza a collaborare con la polizia. Intanto, squadrava i suoi interlocutori con un'espressione francamente divertita, che Dalgleish, con le cosce punzecchiate dal crine di cavallo della poltrona e il viso coperto di sudore per il gran caldo, trovava un po' sconcertante e, soprattutto, irritante.
Ma da quella specie di lezione di catechismo non era uscito nulla di nuovo, nulla che già non si potesse immaginare. Stephen Maxie era stato al cottage la sera prima. Era arrivato mentre andava in onda il notiziario delle nove. Bocock non ricordava a che ora se n'era andato. Abbastanza tardi, però. Stephen sicuramente l'avrebbe ricordato. Molto tardi? «Sì. Verso le undici. Forse anche più tardi. Forse un bel po' più tardi.» Dalgleish osservò seccamente che il signor Bocock se ne sarebbe certo ricordato con maggior precisione, se avesse avuto il tempo per pensarci su. Bocock ammise che esisteva questa possibilità. Di che cosa avevano parlato? «Perlopiù abbiamo ascoltato Beethoven. Il signor Stephen non è uno che parla molto.» Sembrava quasi che Bocock deplorasse la propria volubilità, la snervante loquacità del mondo intero in generale e dei poliziotti in particolare. Non emerse nulla di più. Non aveva notato Sally alla festa, eccetto che nell'ultima parte del pomeriggio, quando aveva fatto fare al bambino un giretto a cavallo, tenendolo in braccio, e verso le sei, quando il palloncino di uno dei ragazzi della scuola di catechismo si era impigliato in un albero e il signor Stephen aveva preso la scala per tirarlo giù. Sally era con lui e aveva il bambino nel passeggino. Bocock si ricordava che era stata lei a tenere la scala. A parte queste due occasioni, non l'aveva vista in giro. Sì, aveva visto il giovane Johnnie Wilcox. Era stato verso le quattro meno dieci, o giù di lì. Se ne stava sgattaiolando via dalla tenda dove servivano il tè, con un pacchettino molto sospetto. No, non l'aveva fermato. Il giovane Wilcox era un ragazzino per bene. A nessuno piaceva molto aiutare a servire il tè. Neppure a lui piaceva, ai suoi tempi. Se Wilcox aveva detto di aver lasciato la tenda alle quattro e mezza, si era solo sbagliato un po' di orario, e basta. S'era attribuito solo una mezz'oretta di lavoro in più. Se il vecchio era curioso di sapere perché la polizia si interessava tanto al giovane Wilcox e alle sue marachelle, non lo diede a vedere. Rispose a tutte le domande di Dalgleish con uguale compostezza e apparente candore. Non sapeva nulla del fidanzamento del signor Maxie e non ne aveva sentito parlare neppure in paese, né prima, né dopo l'omicidio. «Certa gente è capace di dire qualsiasi cosa. Non dovete far caso alle chiacchiere che si fanno in paese. I Maxie sono brava gente». Quelle erano le sue ultime parole. Senza dubbio, dopo aver parlato con il signor Maxie e aver saputo esattamente che cosa si voleva da lui, si sarebbe ricordato con maggior precisione l'ora alla quale si erano lasciati, quella sera. Per il momento, tuttavia, non voleva sbilanciarsi. Era chiaro da che parte stava. Lo lasciarono che stava ancora mangiando, solitario e solenne tra la sua musica e i suoi ricordi.
«No» disse Dalgleish. «Da Bocock non riusciremo mai a cavare nulla di utile sui Maxie. Se Stephen cercava un alleato, si è rivolto alla persona giusta. Qualcosa, però, abbiamo guadagnato. Se Bocock non si sbaglia sull'ora, e sicuramente è più probabile che sia più preciso di Johnnie Wilcox, l'incontro nel fienile ha avuto luogo prima delle quattro e mezzo. Ciò coinciderebbe con quanto già sappiamo dei successivi movimenti di Sally Jupp, compresa la sua comparsa nella tenda del tè con il vestito uguale a quello della signora Riscoe. Nessuno l'aveva vista prima delle quattro e mezza, perciò si dev'essere cambiata d'abito dopo il colloquio nel fienile.»
«È strano, però. Perché aspettare fino a quell'ora?»
«Forse aveva comperato il vestito con l'intenzione di indossarlo in pubblico in qualche occasione. Forse durante quella discussione qualcosa le ha fatto capire che non avrebbe più dovuto dipendere da Martingale. Perciò poteva permettersi lo scherzo. D'altra parte, se sapeva già prima di sabato che avrebbe sposato Stephen, era libera di farlo quando voleva. Ci sono una serie di elementi discordanti riguardo a questa proposta di matrimonio. Se vogliamo credere al signor Hinks - e perché non dovremmo? - Sally Jupp sapeva sicuramente che avrebbe sposato qualcuno quando si sono visti il giovedì precedente. Non credo che avesse due pretendenti, anche perché i possibili candidati non sono molti. E, a proposito della vita sentimentale del giovane Maxie, c'è qui una cosa che ancora non avete visto.»
Porse al sergente un sottile foglio di carta da lettera, intestato col nome di un piccolo albergo sulla costa.
Egregio Signore,
Anche se devo pensare alla mia reputazione e non ho nessuna voglia di essere coinvolta in un'indagine poliziesca, credo sia mio dovere informarvi che un certo signor Maxie ha soggiornato in questo hotel il giorno 24 dello scorso mese di maggio, in compagnia di una signora che ha dichiarato essere sua moglie. Ho visto sull'"Evening Clarion" una fotografia del dottor Maxie, implicato nel delitto di Chadfleet e che i giornali definiscono uno scapolo, e dichiaro trattarsi della medesima persona. Non ho visto fotografie della donna assassinata, perciò non posso dire se si trattasse di quella che era con lui, ma ho pensato che fosse mio dovere portare a vostra conoscenza quanto sopra. Naturalmente, questa informazione potrebbe anche non avere alcun valore per voi e comunque desidererei evitare spiacevoli conseguenze, perciò vi prego di non fare il mio nome. E neppure il nome del mio albergo, che è sempre stato frequentato da una clientela rispettabile. Il signor Maxie si è fermato una sola notte e la coppia non ci ha dato alcun motivo di lagnanza, ma mio marito ha pensato fosse nostro dovere di farvi avere questa informazione. Naturalmente, la nostra iniziativa non è stata dettata da pregiudizio di sorta.
Distinti saluti,
signora Lily Burwood
«Sembra che alla signora stiano molto a cuore i suoi doveri di buona cittadina,» osservò Dalgleish «e non riesco bene a capire che cosa intende con "non è stata dettata da pregiudizi di sorta". Credo che la lettera sia stata scritta più che altro dal marito, che poi non ha avuto il coraggio di firmarla. Comunque, ho mandato laggiù quel pivellino di Robson a fare una piccola indagine, e sono certo che si è divertito un mondo. È riuscito a convincerli che la notte in questione non aveva nulla a che vedere con l'omicidio e che, per il bene dell'albergo, farebbero bene a dimenticarsi di quello che è successo. Tuttavia, non è così semplice come potrebbe sembrare. Robson si è portato dietro qualche fotografia, un paio di quelle scattate alla festa, e i due albergatori hanno confermato una mia interessante teoria. Avete idea di chi potesse essere la compagna del giovane Maxie?»
«Forse la signorina Bowers, signore?»
«Infatti. Speravo che la cosa vi sorprendesse.»
«Beh, signore. Se doveva essere una di qui, non c'era altra che lei. Nulla prova che il dottor Maxie e Sally Jupp se l'intendessero e inoltre la cosa è successa quasi un anno fa.»
«Perciò sareste dell'avviso di non farci troppo caso?»
«Beh, i giovani d'oggi danno molto meno importanza a queste cose di quanta ne dessi io ai miei tempi.»
«Non è che pecchino meno, solo lo fanno con più leggerezza. Ma non è detto che anche la signorina Bowers la pensi così. Può darsi che quello che è successo l'abbia sconvolta. Non mi sembra molto spregiudicata, è innamorata cotta e non è neppure molto abile nel nasconderlo. Credo che desideri disperatamente di sposare il dottor Maxie e, dopotutto le sue possibilità sono cresciute di molto, dopo sabato notte. Era presente quando c'è stato il colpo di scena in soggiorno. Sapeva quello che aveva da perdere.»
«Credete che vada avanti ancora?» Il sergente Martin non riusciva mai ad essere più esplicito, quando si trattava di peccati carnali. In trent'anni di servizio nella polizia, aveva visto e sentito cose che avrebbero fatto crollare qualsiasi illusione, ma era d'animo forte e gentile al tempo stesso, e non poteva credere che gli uomini fossero malvagi o deboli come i fatti sembravano provargli quasi ogni giorno.
«Non credo. Quel fine settimana dev'essere stata la loro unica scorribanda sul terreno passionale. E forse non è stato neppure un grande successo. Forse non fu altro, come sembrate impietosamente suggerire, che una bagatella. Questa è una complicazione. Catherine Bowers è il tipo di donna che promette al suo uomo di fare qualsiasi cosa per lui, e a volte lo fa davvero.»
«Poteva essere al corrente dell'esistenza delle compresse?»
«Nessuno ammette di averglielo detto, e credo dicesse il vero quando sosteneva di non saperne nulla. Poteva averglielo detto Sally Jupp, ma non erano proprio in ottimi rapporti, anzi, per quanto ne so, non avevano nessun tipo di rapporto, e perciò mi sembra poco probabile. Ma questo non prova niente. La Bowers doveva sapere che in casa, da qualche parte, c'erano delle compresse di sonnifero e dove era probabile che fossero. La stessa cosa vale anche per Hearne.»
«È strano che Hearne possa restare tutto questo tempo a Martingale.»
«Ciò significa, probabilmente, che pensa che il colpevole sia uno della famiglia e vuol essere sul posto per evitare che anche a noi possa venire la stessa idea. Forse sa anche chi è. In questo caso, è poco probabile che si lasci sfuggire qualche cosa, temo. Ho chiesto a Robson di indagare anche su di lui. Il suo rapporto, sfrondato di tutte le scempiaggini psicologiche relative a tutte le persone intervistate, è più o meno come me l'aspettavo. Ecco qua. Tutti i particolari su Felix Georges Mortimer Hearne. Naturalmente, ha un eccellente curriculum bellico. Dal 1945 in avanti, ha scribacchiato qualche cosa, ma nulla di più. È socio della casa editrice Hearne & Illingworth. Il fondatore dell'azienda era suo bisnonno, il vecchio Mortimer Hearne. Suo padre ha sposato una francese. Mlle Annette D'Apprius, nel 1919. Il matrimonio ha portato alla famiglia nuovi capitali. Felix è nato nel 1921. È stato educato nei soliti collegi di lusso. Ha conosciuto Deborah Riscoe tramite il marito di lei, che era suo compagno di scuola, benché fosse molto più giovane, e non aveva mai visto Sally Jupp, almeno per quanto Robson è riuscito a scoprire, prima che arrivasse a Martingale. Ha una bella casetta a Greenwich, pienamente conforme al personaggio, come vedete, e un ex attendente che gli fa da maggiordomo. Secondo alcune indiscrezioni, lui e la Riscoe sarebbero amanti, ma non ci sono prove, e Robson dice che dall'attendente non si riesce a cavar nulla. E poi dubito che ci sia qualcosa da cavare. La Riscoe mentiva sicuramente quando ha detto che avevano passato tutta la notte di sabato insieme. Probabilmente Felix Hearne ha ammazzato Sally Jupp per evitare a Deborah Riscoe il fastidio di farlo lei stessa, ma nessuna giuria lo crederebbe mai, e io neppure.»
«Non c'è nessuna prova che avesse lui del sonnifero?»
«Neanche l'ombra. Credo non vi sia ormai nessun dubbio sul fatto che il sonnifero usato per drogare Sally Jupp provenisse dalla bottiglietta prelevata dall'armadietto del signor Maxie. Tuttavia, anche altre persone ne avevano. La bottiglietta di Martingale potrebbe essere stata nascosta in quel modo così melodrammatico per sviare i sospetti. Secondo la testimonianza del dottor Epps, aveva prescritto il Sommeil al signor Maxie, a Sir Reynold Price e alla signorina Pollack del St. Mary. Nessuno di questi si ricorda quante compresse ha preso. Ma questo non mi sorprende. La gente è di una infame trascuratezza per quel che riguarda le medicine. Dov'è quel rapporto? Ah, eccolo. Del signor Maxie sappiamo tutto. Vediamo Sir Reynold Price. Il Sommeil gli è stato prescritto nel gennaio di quest'anno e gli è stato venduto da Goodliffes, nella City, il 14 dello stesso mese. Aveva venti compresse da tre grammi e dice di averne prese la metà e di aver dimenticato che cosa ha fatto delle altre. Evidentemente, è guarito quasi subito dalla sua insonnia. Secondo ogni buon senso, la bottiglietta con nove compresse trovata nella tasca del suo cappotto dal dottor Epps doveva essere la sua. Sir Reynold è abbastanza propenso ad ammetterlo, senza neppure ricordare se effettivamente aveva messo la bottiglietta in tasca. Di solito, uno non tiene in tasca le compresse di sonnifero, ma lui passava molte notti fuori casa e forse le aveva prese con sé all'ultimo momento. Sappiamo tutto di Sir Reynold Price, uomo d'affari e agricoltore al tempo stesso, che compensa la perdita calcolata derivante dalla sua seconda attività con i guadagni della prima. Lancia fulmini contro quella che definisce la dissacrazione della Nuova Chadfleet da una specie di castello vittoriano così orribile che mi sorprende che nessuno abbia ancora formato un comitato per preservarlo come monumento nazionale. Sir Reynold è un filisteo, su questo non c'è dubbio, ma non credo che sia un assassino. Ammette egli stesso di non avere un alibi per sabato notte e sappiamo dalla servitù che è partito in auto sabato sera alle dieci e non è rientrato fino a domenica mattina. Ha un'aria così colpevole e imbarazzata, quando si parla di questa sua assenza ed è così ovviamente preoccupato di tener fede alla tradizionale reticenza del vero gentiluomo, che possiamo dare per certa la presenza di una "donnina" in questa circostanza. Se lo mettiamo sotto torchio e gli facciamo ben capire che c'è in ballo un omicidio, forse ci dirà anche il nome della signora in questione. Queste escursioni notturne avvengono abbastanza regolarmente e non credo abbiano nulla a che vedere con Sally Jupp. Dubito che si sarebbe messo in mostra con la sua Daimler, se avesse voluto fare una visita di nascosto a Martingale.
«Sappiamo anche della signora Pollack. A quanto pare, aveva nei confronti delle compresse di sonnifero lo stesso atteggiamento che il drogato dovrebbe avere nei confronti della droga, ma che purtroppo non ha quasi mai. Si è dibattuta a lungo tra i due mali, l'insonnia e le compresse e alla fine ha deciso di buttare il Sommeil nel water. La signorina Liddell l'ha dissuasa e così le ha restituite al dottor Epps. Secondo il rapporto di Robson, il dottor Epps sostiene che forse le ha avute indietro, ma non ne è sicuro. Comunque, non erano abbastanza da far danno e la boccetta era etichettata. Qualcuno è stato maledettamente imprudente, suppongo, ma del resto la gente lo è spesso. E il Sommeil, si sa, non è compreso nel DDA. D'altra parte, sono bastate tre compresse per drogare Sally Jupp e, a quanto sembra, provenivano dalla bottiglietta di Martingale.»
«Questo ci riporta ai Maxie e ai loro ospiti.»
«Certamente. E non è un delitto così stupido come potrebbe sembrare a prima vista. Se non riusciamo a trovare quelle compresse e a provare che uno dei Maxie le ha somministrate, non potremo far incriminare nessuno. Ecco come potrebbe essere andata. Sally Jupp sapeva dell'esistenza delle compresse. Potrebbe averle prese lei stessa. Sono state sciolte nella tazza della signora Riscoe. Niente prova che fossero destinate a Sally. Chiunque avrebbe potuto entrare in casa durante la festa e aspettare al varco la ragazza. Non c'era un motivo plausibile. Anche altre persone avevano accesso alle compresse. E, per quanto ne so finora, poteva anche aver ragione.»
«Ma se l'assassino avesse usato una maggior quantità di compresse e avesse usato solo quelle per uccidere la ragazza, forse nessuno avrebbe pensato a un omicidio.»
«Non era possibile. Questi barbiturici uccidono molto lentamente. La ragazza poteva restare in coma per diversi giorni e magari riprendersi. Tutti i medici lo sanno. D'altra parte, sarebbe stato difficile ammazzare una ragazza sana e robusta, o anche entrare nella sua stanza senza essere scoperti, a meno di non drogarla. La combinazione di questi due metodi presentava qualche rischio, ma sempre meno di una qualsiasi delle due tecniche, se usata da sola. Inoltre, dubito che si possa ingurgitare una dose letale di barbiturici senza accorgersene. Il Sommeil dev'essere meno amaro di altri prodotti del genere, ma non è insapore. Ecco perché Sally Jupp ha lasciato buona parte della cioccolata. Non è possibile che si sia addormentata subito profondamente, con una dose così scarsa, e tuttavia si è lasciata ammazzare senza opporre resistenza. È questa la cosa curiosa. Sally doveva aspettare il suo visitatore, o perlomeno doveva essere uno di cui non aveva paura. Ma se era così, perché l'ha drogata? Forse non c'è connessione tra le due cose, ma sarebbe una coincidenza troppo strana, se qualcuno le avesse messo una dose pericolosa di sonnifero nella tazza proprio la stessa notte in cui un altro aveva deciso di strangolarla. E poi è curiosa la distribuzione delle impronte digitali. Qualcuno si è calato dalla canna fumaria, ma le impronte sono solo di Sally e forse non sono neppure recenti. La scatola del cacao è stata trovata vuota nella pattumiera, senza l'involucro di stagnola. Sulla scatola ci sono le impronte di Sally e della Bultitaft. Sulla maniglia della stanza da letto c'è solo un'impronta di Sally, che però e molto rovinata. Hearne ha detto che, aprendo la porta, ha protetto la maniglia con il fazzoletto, il che, considerate le circostanze, è prova di una notevole presenza di spirito. Forse troppa. Di tutta quella gente, Hearne è quello che perde meno facilmente la testa in un caso di emergenza e che meno facilmente tralascia di badare alle cose essenziali.»
«Quando l'abbiamo interrogato, però, qualcosa doveva averlo scosso.»
«È vero, sergente. Avrei reagito diversamente ai suoi modi offensivi, se non avessi saputo che era solo fifa bell'e buona. A certe persone fa quest'effetto. Il poveretto faceva quasi pena. Non me l'aspettavo, da parte sua. Persino Proctor se l'è cavata meglio, e Dio solo sa se era spaventato.»
«Ma sappiamo che non può essere stato Proctor.»
«E lo sa anche lui, probabilmente. Tuttavia ha mentito su alcune cose, ma quando sarà il momento lo incastreremo. Riguardo alla telefonata, però, credo dicesse la verità, o perlomeno una parte della verità. Peccato per lui che abbia risposto la figlia. Se avesse risposto lui, dubito che ce l'avrebbe detto. Continua a sostenere che fu la signorina Liddell a chiamarlo e anche Beryl conferma che la donna ha dato quel nome. Prima dice alla moglie e a noi che la Liddell l'aveva chiamato solo per dargli notizie di Sally. Poi, quando insistiamo e gli diciamo che la Liddell nega di aver fatto la telefonata, dice che la chiamata era sicuramente della Liddell, o di una che si faceva passare per lei, ma ammette che la donna gli ha dato la notizia del fidanzamento di Sally con Stephen Maxie. E questo era sicuramente un motivo più plausibile per una telefonata, che un semplice resoconto sulle attività della nipote.»
«È interessante constatare quanta gente dice di aver saputo del fidanzamento prima che questo avesse effettivamente luogo.»
«O prima di quando Maxie afferma che esso ha avuto luogo. Insiste a dire che si è dichiarato all'improvviso, quando i due si sono incontrati in giardino, sabato sera, verso le otto meno venti, e che prima di allora non aveva mai pensato di chiedere la mano della ragazza. Questo non vuol dire che non ci avesse pensato lei. Forse se l'aspettava anche. Ma quel che è certo è che diffondere la notizia prima del tempo significava cacciarsi nei guai. E che motivo aveva di dirlo allo zio, se non quello di far colpo e di sconcertarlo? E anche se fosse, perché mai farsi passare per la signorina Liddell?»
«Dunque pensate che sia stata Sally Jupp a fare quella telefonata, signore?»
«Beh, ce l'hanno detto, no, com'era brava nelle imitazioni. Credo che possiamo dare ormai per certo che è stata Sally a telefonare ed è significativo il fatto che Proctor sia ancora riluttante ad ammetterlo. Un altro piccolo mistero, che forse non riusciremo mai a risolvere, è che cosa abbia fatto Sally dopo aver messo a letto il bambino, sabato sera, e prima di fare la sua comparsa sulla scala, a Martingale. Nessuno ammette di averla vista.»
«Non è possibile che sia rimasta in camera sua, con Jimmy, e sia scesa a prendersi la bevanda calda per la notte solo dopo che Martha era andata a letto, quando sapeva che aveva via libera?»
«Infatti, questa è la spiegazione più plausibile. Non credo che sarebbe stata la benvenuta né in soggiorno, né in cucina. Forse aveva voglia di star sola. Dio solo lo sa, doveva avere diverse cose a cui pensare!»
Sedettero in silenzio per un momento. Dalgleish rifletté sulla strana discordanza degli indizi, che, a suo avviso, erano di particolare importanza. C'era la significativa riluttanza di Martha a parlare di una delle mancanze di Sally. C'era la bottiglietta del Sommeil sotterrata frettolosamente in giardino. C'era una scatola di cacao vuota, c'era la ragazza dai capelli d'oro che rideva, mentre Stephen Maxie recuperava un palloncino impigliato nei rami di un albero, c'erano una telefonata anonima e una misteriosa mano guantata che chiudeva la botola nel fienile di Bocock. E al centro del mistero, l'indizio che avrebbe chiarito tutto: la complessa personalità di Sally Jupp.
28
Giovedì mattina la lista dei pazienti da visitare al St. Luke era stata lunga e Stephen Maxie si ricordò di Sally solo quando, finalmente, poté sedersi a tavola. Ma, come sempre, il ricordo lo assalì subitaneo e violento, tagliente come la lama di un coltello, gli tolse l'appetito e lo escluse di colpo dai semplici e spensierati piaceri della vita di tutti i giorni. La conversazione a tavola suonò falsa; nient'altro che un mucchio di banalità, il cui unico scopo era nascondere l'imbarazzo dei colleghi per la sua presenza. I giornali erano ripiegati con cura, nel caso che un titolo potesse balzare all'occhio e rammentare che tra loro era seduto un uomo sospettato di omicidio. Premurosi, cercavano di farlo partecipare alla conversazione, senza darlo troppo a vedere, perché non pensasse che lo compativano. E tuttavia senza mai escluderlo del tutto, altrimenti poteva credere che volessero evitarlo. La carne sul piatto non aveva sapore, sembrava cartone. Si sforzò di mangiarne qualche boccone - non poteva andare avanti saltando i pasti per colpa di quella storia - ma dovette far finta che il budino non gli piacesse. Aveva bisogno di agire. Se la polizia non riusciva a venire a capo di quel delitto, forse avrebbe potuto farlo lui. Mormorando una scusa, lasciò gli altri commensali alle loro speculazioni. E perché no? Era poi così strano che avessero voglia di porgli quell'unica domanda cruciale? Anche sua madre, con la mano alla cornetta del telefono, il viso devastato rivolto verso di lui come ad interrogarlo, disperata, aveva avuto voglia di chiederglielo. E lui le aveva risposto: «Non c'è bisogno che me lo domandi. Non ne so nulla. Lo giuro».
Aveva un'ora libera e sapeva quel che aveva in mente di fare. Il segreto della morte di Sally doveva essere racchiuso nella sua vita, e probabilmente nella vita che aveva condotto prima di arrivare a Martingale. Stephen era convinto che il padre del bambino avrebbe potuto fornire la chiave di soluzione del mistero, se solo fosse riuscito a trovarlo. Non si curò di analizzare i motivi che lo spingevano alla ricerca di uno sconosciuto, se questo suo desiderio fosse dettato dalla logica, dalla curiosità o da un sentimento di gelosia. Gli bastava trovar sollievo nell'azione, per quanto inutile potesse essere il suo tentativo.
Ricordava il nome dello zio di Sally, ma non tutto l'indirizzo e gli ci volle un po' di tempo a far passare tutti i Proctor fino a trovare il numero di Canningbury. Gli rispose una donna con una voce roboante, innaturale, come di chi non è avvezzo ad usare il telefono. Quando disse il suo nome ci fu una pausa di silenzio, tanto che pensò avesse riattaccato. Ebbe quasi la sensazione fisica della sua diffidenza, anche attraverso il filo, e cercò di propiziarsela. La donna esitava e Stephen disse che avrebbe anche potuto telefonare più tardi e parlare con suo marito. Non l'aveva intesa come una minaccia. Aveva semplicemente creduto che la donna fosse una di quelle mogli incapaci di prendere qualsiasi iniziativa per proprio conto. Ma i risultati della sua proposta furono sorprendenti. La donna si affrettò a dire: «Oh, no! No! Non c'era assolutamente bisogno di fare una cosa simile. Il signor Proctor non voleva sentir parlare di Sally. Non era proprio il caso di telefonare a lui. In fondo, non c'era nulla di male se lei diceva al signor Maxie quello che voleva sapere. Solo, era meglio se il signor Proctor non veniva a sapere che aveva telefonato». Poi gli diede l'indirizzo che cercava. Quando era rimasta incinta, Sally lavorava al Select Book Club, a Falconer's Yard, nella City.
Gli uffici del Select Book Club si trovavano in un cortile dietro alla cattedrale di St. Paul. Ci si arrivava attraverso un passaggio buio e stretto, difficile da trovare, ma il cortile era pieno di luce, tranquillo come quello di una cattedrale di provincia. Il frastuono assordante del traffico cittadino vi arrivava smorzato e distante, come l'eco del mare. L'aria era impregnata dell'odore del fiume. Non fu difficile trovare la porta giusta. Nell'angolo soleggiato del cortile, una vetrina, ricavata in una finestra, esibiva, disposti con severa e studiata casualità su uno sfondo di velluto viola, i libri selezionati dal Club. Il nome dell'organizzazione sembrava appropriato. Il Select Book Club serviva quella categoria di lettori a cui piacciono i bei romanzi, ma che non si curano molto di chi li scrive, che preferiscono sia loro evitata la fatica di scegliere e che, infine, pensano che una bella libreria con volumi tutti della stessa misura e con la rilegatura dello stesso colore contribuisca a dar tono a una stanza. Il Select Book Club preferiva opere nelle quali la virtù era premiata e il vizio era giustamente punito. Aborriva la salacità, evitava la violenza e non si arrischiava mai con autori non affermati. Spesso, e non c'era da stupirsene, doveva effettuare le proprie scelte ripescando dai cataloghi delle case editrici le opere meno recenti. Stephen notò che solo un paio dei volumi selezionati portavano originariamente il marchio di Hearne & Illingworth, e si sorprese che anche quei pochi fossero adatti al Club.
Gli scalini davanti alla porta d'ingresso erano lindi e conducevano in un piccolo ufficio, evidentemente creato per favorire quei clienti che preferivano ritirare personalmente, ogni mese, il loro libro. Quando Stephen entrò, un anziano sacerdote si stava sorbendo il lungo e ilare commiato dell'impiegata di turno, che aveva deciso di non lasciarlo scappare prima di avergli minutamente descritto le qualità del libro del mese, compresi alcuni dettagli della trama e il finale veramente sorprendente. Esaurito questo argomento, passò a chiedere notizie sui vari membri della famiglia e poi sollecitò il cliente ad esprimere la sua opinione sul libro del mese precedente. Stephen aspettò pazientemente la fine della conversazione e infine la donna fu libera di volgere lo sguardo deliberatamente vivace verso il nuovo arrivato. Un bigliettino da visita incorniciato sulla scrivania la indicava come la signorina Titley.
«Scusate se vi ho fatto aspettare. Siete un nuovo cliente, vero? Non mi pare di aver già avuto il piacere... Col tempo, arrivo a conoscere tutti e tutti mi conoscono. Quello era il canonico Tatlock. Davvero un caro cliente. Ma non bisogna fargli fretta, sapete. Non bisogna fargli fretta.»
Stephen sfoderò tutto il suo fascino e spiegò che desiderava avere un colloquio con il direttore. Si trattava di una questione personale e molto importante. Non voleva cercare di vendere nulla e veramente non si sarebbe trattenuto più di pochi minuti. Si scusò di non poter essere più esplicito, ma era veramente una cosa della massima importanza. «Per me, almeno» aggiunse con un sorriso.
Il sorriso colse nel segno, come sempre. La signorina Titley, riportata bruscamente alla normalità dall'insolito avvenimento, si appartò in fondo all'ufficio e fece una telefonata furtiva. Fu una telefonata abbastanza lunga. Durante la conversazione, lanciò a Stephen diverse occhiate, come per accertarsi della sua rispettabilità. Infine riagganciò il ricevitore e comunicò che la signorina Molpas era disposta a riceverlo.
L'ufficio della signorina Molpas era al terzo piano. Le scale, coperte di moquette, erano ripide e anguste e i due dovettero farsi da parte ad ogni rampa per lasciar passare le impiegate. Di uomini non v'era traccia. Quando finalmente fu introdotto nell'ufficio della signorina Molpas vide che era stato ben scelto. Tre piani di ripide scale non erano un prezzo troppo alto da pagare per quella magnifica veduta sui tetti della città, per lo scorcio del nastro argentato del fiume che si snodava da Westminster. La signorina Titley lo annunciò con un soffio di voce, con tono deferente quanto stentoreo, e scomparve. La signorina Molpas si alzò pesantemente dietro la scrivania e gli indicò una sedia. Era una donna piccola, con i capelli scuri e un viso straordinariamente comune. Aveva una faccia larga, rotonda, e i capelli tagliati con una frangia spessa e diritta, che le copriva la fronte fino alle sopracciglia. Portava occhiali con la montatura di tartaruga, così grandi e pesanti che sembravano fatti apposta per renderla ancora più caricaturale. Indossava una gonna corta di tweed e una camicia bianca da uomo, con una cravatta verde e gialla, di maglia, che a Stephen fece l'effetto di una purea di verdura a forma di bruco. La voce, però, era una delle più piacevoli che Stephen avesse mai udito da una donna e la stretta di mano era ferma e decisa.
«Siete Stephen Maxie, non è vero? Ho visto la vostra fotografia sull'"Echo". Si dice che abbiate ucciso Sally Jupp. È vero?»
«No. Non è stato nessuno della mia famiglia. Ma sono venuto per parlare di questo. La gente può dire quello che vuole. Sono venuto, perché voglio sapere qualcosa di più riguardo a Sally. Ho pensato che forse voi avreste potuto aiutarmi. É del bambino che mi preoccupo, soprattutto. Ora che non ha più una madre, credo che sia importante cercare di trovare il padre. Nessuno si è fatto avanti, ma ho pensato che il padre potrebbe anche essere all'oscuro di tutto. Sally era molto indipendente. Se non sa niente ed è disposto a fare qualcosa per Jimmy - beh, credo che bisognerebbe dargli una possibilità.»
La signorina Molpas gli tese un pacchetto di sigarette.
«Fumate? No? Beh, io sì. State facendo un po' di confusione, non vi pare? Che cosa volete, esattamente? Non potete credere veramente che il padre non sappia nulla. Perché non dovrebbe saperlo? Con tutta la pubblicità che ne hanno fatto i giornali. La polizia è stata qui, a battere la stessa pista, ma non credo che fossero molto interessati al bene del bambino. Piuttosto, cercavano un movente. Sono molto scrupolosi. Fareste meglio a lasciare che se la sbrighino loro.»
Così la polizia era già stata lì. Era stato stupido e insensato a pensare diversamente, ma la notizia lo deluse. Sarebbero sempre stati un passo più avanti di lui. Era pura presunzione credere di poter scoprire qualcosa di utile riguardo a Sally che la polizia, con la sua esperienza, la sua perseveranza e la sua infinita pazienza, non avesse già scoperto. La sua delusione doveva essere evidente, perché la signorina Molpas scoppiò a ridere.
«Suvvia! Non abbattetevi. Forse siete ancora in tempo a batterli. Ho detto loro tutto quello che sapevo e tutto è stato trascritto molto coscienziosamente, ma vedo che non è servito a molto.»
«Solo a rafforzare ulteriormente l'idea che il colpevole sia uno della mia famiglia.»
«Beh, sicuramente non è una di noi. Non posso neppure fornirvi un possibile padre. Non abbiamo uomini, qui. Sicuramente, è rimasta incinta mentre lavorava qui, ma non chiedetemi come.»
«Com'era veramente, signorina Molpas?» domandò Stephen. Aveva formulato la domanda a dispetto della sua evidente assurdità. Era quello che si chiedevano tutti, come per trovare qualcuno che, in mezzo a tutto questo groviglio di indizi e di incertezze, dicesse finalmente: «Sally era così».
La signorina Molpas lo osservò con curiosità.
«Dovreste saperlo, com'era. Non ne eravate innamorato?»
«Se lo fossi stato, sarei l'ultimo a saperlo.»
«Ma non lo eravate.» Non era una domanda impertinente, era una constatazione e Stephen la confermò con una franchezza che lo sorprese.
«L'ammiravo e volevo andarci a letto. Suppongo che questo non si possa definire amore. Del resto, non sta a me dirlo, perché non ho mai provato altro sentimento per nessuna donna.»
La signorina Molpas distolse gli occhi e guardò fuori dalla finestra.
«Ve lo dico io, allora. E dubito che lo proverete mai. Non è roba per i tipi come voi.» Si volse di nuovo verso di lui e riprese a parlare in tono vivace.